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Nella delega fiscale un brutto “neo” sulla giustizia tributaria. La parola al Parlamento

Nella Delega Fiscale Un Brutto “neo” Sulla Giustizia Tributaria
Nell’Editoriale del 18 marzo 2023, commentando a caldo, e sulla base delle indiscrezioni trapelate dagli addetti ai lavori, si era espresso un giudizio sulla delega fiscale predisposta dal Governo in termini sostanzialmente positivi, evidenziandone l’appropriata impostazione di fondo, l’ottima struttura complessiva e l’esaustivo impianto sistematico secondo una linea di continuità evolutiva, rispetto alla normativa vigente.

Con particolare riferimento alla parte della delega relativa alla giustizia tributaria si erano, tuttavia, evidenziate alcune criticità di dettaglio, fornendo appropriati suggerimenti in vista di una maggiore funzionalità di sistema.

Dopo la pubblicazione ufficiale del Ddl n. 1038/2023, presentato alla Camera dei Deputati dal Ministro dell’Economia e delle finanze, in data 23 marzo 2023, è ora opportuno approfondire, con maggior cognizione di causa, come si suol dire, qualcuno dei principi o criteri direttivi esposti nell’articolo 17 dell’anzidetto d.d.l. governativo.

In questo attuale ufficiale contesto si apprezza in apice l’intervenuto perfezionamento, al comma 1, sub a), della bozza originaria, essendosi, ora, espressamente disposta la necessità di “coordinare con la nuova disciplina di cui all’articolo 4, comma 1, lettera g)”, riguardante l’interpello e il contraddittorio a pena di nullità, gli “altri istituti a finalità deflativa operanti nella fase antecedente la costituzione in giudizio di cui all’articolo 23 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ai fini del massimo contenimento dei tempi di conclusione della controversia tributaria”.
Non si può dire altrettanto, invece, riguardo a quanto prefigurato, con eccessiva minuteria specificativa (che mal si addice a quanto richiesto dall’art. 76 Cost. riguardo ai “criteri” e ai “principi” della legge delega), imponendosi al futuro legislatore delegato di “c) modificare l’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, prevedendo che le opposizioni regolate dagli articoli 615, secondo comma, e 617 del codice di procedura civile siano proponibili dinanzi al giudice tributario, con le modalità e le forme previste dal citato decreto legislativo n. 546 del 1992, se il ricorrente assume la mancata o invalida notificazione della cartella di pagamento ovvero dell’intimazione di pagamento di cui all’articolo 50, comma 2, del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973”.

Nella relazione illustrativa si è detto in proposito che la progettata modifica normativa sarebbe giustificata in quanto conforme alla pronuncia n. 114/2018 della Corte costituzionale e ad alcune pronunce della Suprema Corte di Cassazione in argomento.

In realtà la Corte costituzionale, con la sentenza n. 114/2018 ha solo statuito la necessità, sul piano costituzionale, che, a fronte di vizi dell’esazione fiscale, abbia ingresso uno strumento processuale in grado di porvi rimedio, secondo quanto richiesto dall’art. 24 Cost., senza tuttavia prendere posizione se tale rimedio debba essere demandato al giudice nell’ambito della giurisdizione ordinaria ovvero in quella speciale tributaria.

Quanto alla Corte di Cassazione, in alcune pronunce si è attribuito al giudice ordinario la competenza a decidere delle opposizioni esecutive anche in materia tributaria, mentre, in altre (n. 13913/2017; Id., n. 30756/2018 e n. 7822/2020) si era sostenuto che dette controversie fossero attribuite ai giudici tributari, ove il contribuente avesse dedotto l’omessa notifica di uno degli atti prodromici autonomamente impugnabili davanti a tale giudice.

Si dà il caso, però, che questi ultimi arresti giurisprudenziali siano tutt’affatto erronei, posto che il pignoramento e qualsiasi altro atto dell’esecuzione forzata tributaria non rientrano nel novero degli atti autonomamente impugnabili ex art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 e che il loro sindacato fuoriesce dai limiti del giudizio speciale tributario, così come determinato dall’art. 2, D.Lgs. cit., che lo determina in ragione del c.d. petitum sostanziale e non sulla base dei soli motivi prospettati dal ricorrente. E si dà il caso, soprattutto, che queste ultime scelte giurisprudenziali, contrastino con la funzionale necessità che le opposizioni esecutive siano affidate al (e siano gestite dal) loro giudice naturale, che è propriamente il giudice dell’esecuzione, il quale soltanto, e non invece il giudice tributario, è in grado d’impartire i provvedimenti relativi all’esecuzione ad esso assegnata (com’è stato anche specificamente riconosciuto riguardo alle esecuzioni collettive e in tema di cram down fiscale: Cass., SS.UU., nn. 8504, 8504, 8506/2021).

Il nuovo legislatore dovrà dunque adottare una disciplina più consona e funzionale alle oggettive esigenze dell’ordinamento, senza lasciarsi fuorviare da (errate) opinioni giurisprudenziali che non possono certo vincolare il (futuro) legislatore.

A livello di legge delega della riforma fiscale appare dunque necessario che vengano eliminate dal Parlamento le prescrizioni specificamente precettive di cui all’art. 17, comma 1, lett. c), lasciando così libero il futuro legislatore delegato di adottare melius re perpensa la più adeguata disciplina a livello di sistema e di funzionalità dell’ordinamento in parte qua.

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