Non solo Irpef: un Fisco amico di chi fa impresa

Irap nel mirino, incentivi da razionalizzare e certezza delle norme
Da dove partire? Non c’è dubbio che in cima alle attese degli operatori resta l’abolizione dell’Irap, eventualmente da sostituire con un’addizionale Ires, per superare l’obiezione della perdita di gettito (la Lega, lo scorso anno, proponeva una soluzione simile). Le imprese ne avrebbero un beneficio almeno in termini di semplificazioni e minori adempimenti. Altro punto, una politica degli incentivi improntata alla stabilità. Se guardiamo agli ultimi anni, è stata una girandola assurda tra Ace, mini-Ires, di nuovo Ace, ma anche bonus Tremonti, bonus Visco-Sud, bonus ricerca, start-up, super ammortamenti, iper ammortamenti, crediti di imposta e molto ancora. Le imprese chiedono misure semplici, certe e strutturali per poter programmare gli investimenti, che sono necessari per la crescita e per l’occupazione. Occorrono misure per accompagnare stabilmente la transizione a Industria 4.0, ora anche in chiave di sostenibilità.

E così difficile accontentare le imprese?
Evidentemente sì. Esattamente come lo è garantire agli operatori la certezza normativa. Non esistono, nel passato, eccezioni alla brutta regola dell’aleatorietà delle leggi fiscali. Ma bisogna riconoscere che negli ultimi due anni – complice il passaggio attraverso tre governi, da Gentiloni a Conte, da Conte a Conte bis – si è toccato il fondo. Senza dire del modo in cui, spesso, le norme sono state cambiate. Si pensi alle nuove sanzioni penali tributarie arrivate con decreto legge, in violazione non solo dei principi costituzionali (dov’erano i requisiti di necessità e urgenza?) e di quelli dello Statuto dei diritti del contribuente, ma contro le più elementari regole del buonsenso: l’inasprimento delle pene è entrato in vigore, senza alcuna vacatio, con la pubblicazione della legge di conversione del decreto.

La scommessa mai vinta delle semplificazioni
Il tema delle semplificazioni resta una priorità nella possibile agenda per un Fisco migliore. Da un lato, i numerosi (e ambiziosi) progetti di semplificazione del passato si sono spesso via via svuotati, fino a svanire quasi nel nulla. Dall’altro lato, l’esperienza insegna che non solo è difficile semplificare l’esistente, ma che ogni nuovo intervento legislativo finisce puntualmente per generare ulteriori complicazioni e incertezze. Lo confermano molte norme dell’ultima manovra di bilancio, dall’obbligo di tracciabilità di alcune spese detraibili sino ai nuovi e contestatissimi obblighi sulle ritenute negli appalti, solo per citare due esempi.

Le associazioni di categoria e le professioni svolgono da sempre un monitoraggio costante sulle situazioni più critiche, proponendo le relative soluzioni. Si tratta, per lo più, di interventi a “costo zero” per l’Erario o comunque a costi molto contenuti (ultimi esempi, certamente non unici, le proposte presentate congiuntamente da Confindustria e dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti nel settembre scorso e quelle indicate dagli esperti del Sole 24Ore sul quotidiano del 6 settembre 2019).

Le cose da fare non mancano. Si pensi all’Iva e alle sue mille complicazioni. La fatturazione elettronica non ha prodotto alcun alleggerimento di altri adempimenti. Resta l’anomalia dello split payment. Vanno riviste le regole per le note di variazione Iva per recuperare l’imposta sui crediti non riscossi (oggi possibile solo dopo la procedura concorsuale). Oppure, in ambito diverso, si pensi alla duplicazione di adempimenti connessi ai disallineamenti tra la disciplina civilistica e quella fiscale. E poi ancora: società di comodo, premialità degli Isa, regime delle perdite, cooperative compliance più estesa, oppure il fatto che l’amministrazione non sia tenuta a comunicare ai contribuenti l’esito
(anche negativo) di un controllo.

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