Nuovo Codice deontologico dei commercialisti: spazio a equo compenso, pubblicità e social media

Si tratta di un documento che, con effetto dal 1° aprile 2024, introduce molte novità al fine di allineare l’esercizio della professione all’evoluzione normativa e tecnologica degli ultimi anni.

In questa ottica si deve intendere il nuovo art. 25 che introduce il concetto di equo compenso, in aderenza a quanto previsto dalla disciplina in materia di cui alla legge n. 49/2023.

Come anche le novità riguardanti le forme di pubblicità e l’uso dei social network che hanno il fine di dare ai professionisti alcune indicazioni su come rapportarsi con questi importanti strumenti nel rispetto del decoro della professione.

Ma le novità non si limitano a ciò, perché ci sono tante altre modifiche, prima fra tutte quella sull’utilizzo del titolo professionale. Si tratta di una norma sulla quale, nella versione in bozza, si sono concentrate molte critiche e discussioni.

Il Consiglio Nazionale ne ha preso atto e, nella versione finale, ha riscritta la norma per renderla più chiara e, al tempo stesso, aderente al dettato dell’ordinamento professionale di cui al D.Lgs. n. 139/2005.

Di seguito, facciamo il punto sulle principali novità ricordando che il Consiglio Nazionale pubblicherà una relazione di accompagnamento al testo per illustrare, nel dettaglio, agli iscritti il nuovo Codice.

Equo compenso

Una delle più importanti novità (che rappresenta un vero e proprio inedito) è contenuta nell’art. 25.

Si ricorda che tale disciplina si applica ai rapporti professionali aventi ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale svolta in favore di imprese bancarie e assicurative nonché delle loro società controllate, delle loro mandatarie e delle imprese che nell’anno precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.

Inoltre, si applicano alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione e delle società a partecipazione pubblica, mentre non si applicano, in ogni caso, alle prestazioni in favore di società veicolo di cartolarizzazione né a quelle rese in favore degli agenti della riscossione.

Il Codice deontologico per queste prestazioni obbliga il professionista di concordare con il cliente, in qualunque forma, un compenso per l’esercizio dell’attività professionale che sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta e determinato in applicazione dei parametri previsti dal decreto ministeriale.

Nel caso in cui il professionista proponga al cliente convenzioni, contratti o altri accordi, da lui esclusivamente predisposti, aventi ad oggetto l’esercizio dell’attività professionale, deve informare il cliente che è nulla la pattuizione di compensi che non siano giusti, equi e proporzionati alla prestazione professionale richiesta e che non siano determinati in applicazione dei parametri previsti dal decreto ministeriale.

Sono stabiliti poi alcuni parametri per valutare se il compenso pattuito sia giusto, equo e proporzionato. In particolare, a tal fine si deve tener conto, caso per caso:

a) del valore e natura della pratica;

b) dell’importanza, difficoltà, complessità della pratica;

c) delle condizioni d’urgenza per l’espletamento dell’incarico;

d) dei risultati e vantaggi, anche non economici, ottenuti dal cliente;

e) dell’impegno profuso anche in termini di tempo impiegato;

f) del pregio dell’opera prestata;

g) dei parametri previsti dal decreto ministeriale.

Si tratta di parametri che, nel loro complesso, dovrebbero permettere al professionista di percepire un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale.

Pubblicità

Quello dell’utilizzo degli strumenti pubblicitari e di comunicazione è un argomento molto delicato in quanto, con il diffondersi delle nuove tecnologie, è estremamente semplice pubblicizzare la propria attività e comunicare con una moltitudine di soggetti, attraverso l’uso dei social network.

Quindi, il rischio concreto è quello di farsi trascinare, anche solo involontariamente, in atteggiamenti non consoni con il decoro professionale.

Per quanto riguarda la pubblicità si parte dal presupposto che si tratta di un’attività non vietata ma per la quale occorre, necessariamente, stabilire regole precise e chiare.

A tale proposito, l’art. 44, comma 1, confermato anche nel nuovo Codice deontologico prevede che la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, è libera.

Nel nuovo Codice, però si interviene sulle modalità per effettuare pubblicità, specificando meglio le regole e i limiti.

In particolare, il nuovo comma 2 del predetto articolo specifica che la pubblicità e la scelta dei mezzi e strumenti deve avere fine esclusivamente promozionale ed essere conforme al decoro e all’immagine della professione.

Viene inoltre previsto il divieto di inviare, anche tramite terzi, comunicazioni telematiche e messaggi elettronici a potenziali clienti, offrendo le proprie prestazioni professionali senza che questi ne abbiamo fatto richiesta.

Quindi, viene vietata ogni forma di marketingselvaggio” e di spam.

L’art. 44 nella sua nuova versione prevede anche che:

– le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie, comparative, enfatizzanti, superlative o suggestive. Ogni informazione deve essere verificabile con elementi oggettivi (comma 3):

– nelle informazioni pubblicitarie non possono mai essere menzionati o indicati nominativi dei clienti o delle parti assistite, ancorché abbiano fornito il proprio consenso, e non possono mai essere promosse attività di altri soggetti (comma 4).

Inoltre, è vietato proporre o pubblicizzare prestazioni professionali gratuite ovvero a prezzi meramente simbolici, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo e strumento (art. 24, comma 7).

Uso dei social network

Passando all’uso dei social network, la questione è ancor più delicata.

Infatti, è molto facile, quando si partecipa attivamente su queste piattaforme, lasciarsi trascinare in discussioni che spesso sfociano in polemiche o critiche.

Ma, d’altro canto, si deve fare i conti con la libertà di pensiero, principio tutelato a livello costituzionale.

Il Codice deontologico prova a mettere d’accordo le due diverse esigenze (decoro della professioni vs libertà di pensiero) e, fermo restando che nell’esercizio del suo diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni e del suo diritto di critica, costituzionalmente garantiti, ciascun professionista deve comportarsi, nei confronti degli organi della professione, con rispetto, correttezza e considerazione (art. 29, comma 1), stabilisce che nell’utilizzo dei mezzi di comunicazione sociale, ivi inclusi i social network, l’iscritto deve astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa ledere l’onorabilità delle istituzioni, anche di categoria, o comunque nuocere all’immagine e al decoro della professione e degli iscritti (art. 39, comma 2).

Inoltre, si chiarisce che il professionista (art. 14, comma 2):

– non può usare, con qualsiasi modalità e strumento (quindi anche mediante l’utilizzo dei social network), espressioni sconvenienti, denigratorie e offensive, sia nello svolgimento dell’attività professionale, sia al di fuori dello svolgimento dell’attività professionale;

– non deve screditare o svilire le attività e le prestazioni professionali dei colleghi, incluse quelle di carattere istituzionale o espletate in organismi istituzionali di categoria.

Utilizzo del titolo professionale

Un accenno va fatto alle regole sull’utilizzo del titolo professionale.

Nella prima versione del Codice, messa in pubblica consultazione, da un lato era stato previsto il divieto di utilizzare un titolo professionale non conseguito, dall’altro, l’obbligo di usare integralmente il titolo previsto dall’ordinamento professionale e di competenza (“Dottore Commercialista” o “Ragioniere Commercialista” o “Esperto Contabile”).

Inoltre, era stato introdotto il divieto di utilizzare il termine “commercialista” senza la completa indicazione del titolo professionale posseduto.

Ciò ha suscitato molte critiche in quanto, nel linguaggio parlato e scritto (e nell’immaginario collettivo) il termine “commercialista” è ormai di uso comune e vietarne l’utilizzo sembrava una esagerazione senza alcuna reale efficacia.

A onor del vero, il D.Lgs. n. 139/2005, all’art. 3, prevede il divieto dell’uso del termine abbreviato “commercialista” da parte di chi non ne ha diritto.

Tenendo conto di tutto ciò, il Consiglio Nazionale, nella versione definitiva del Codice, ammorbidisce la norma stabilendo, semplicemente, che nell’esercizio della propria attività il professionista deve utilizzare il titolo professionale spettante in base all’ordinamento professionale vigente.

Quindi, rimanda a quanto previsto dal D.Lgs. n. 139/2005 essendo ciò più che sufficiente a garantire la correttezza nell’uso dei titoli.

Altre novità

Oltre a quanto detto sin qui, il nuovo Codice contiene tante altre novità.

Tra queste si segnalano:

– l’esercizio del potere disciplinare secondo cui le sanzioni comminate devono essere proporzionate e adeguate alla gravità della condotta e alle conseguenze che possano derivare dalla medesima all’immagine della professione nonché, eventualmente, al cliente. A tal fine devono essere valutate la gravità del fatto, l’eventuale sussistenza del dolo e sua intensità ovvero il grado di colpa, l’eventuale danno procurato, nonché ogni circostanza, soggettiva e oggettiva, connessa alla violazione (art. 4, comma 3);

– l’obbligo di rendere noti al cliente gli estremi della propria polizza assicurativa per la responsabilità professionale ogniqualvolta questi gliene faccia richiesta (art. 13, comma 2);

– le modalità per la rinuncia all’incarico, secondo cui il professionista deve avvertire il cliente tempestivamente e per iscritto e, laddove questi sia irreperibile, deve comunicare la rinuncia al mandato mediante lettera raccomandata all’indirizzo anagrafico o all’ultimo domicilio conosciuto o a mezzo PEC, soprattutto se l’incarico deve essere proseguito da altro professionista;

– il contrasto all’abusivismo, stabilendo che è vietato al professionista favorire, agevolare, direttamente o indirettamente o per tramite di terzi, l’esercizio abusivo della professione o, comunque, adottare metodi e sistemi che rendano possibile o consentano a soggetti non abilitati l’esercizio della professione, anche se limitatamente a un solo affare o per un ridotto periodo di tempo; il divieto è previsto anche se l’incarico viene svolto congiuntamente con soggetti non abilitati.

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