Partecipazioni in società residenti o estere: stessa tassazione per le plusvalenze
- 17 Novembre 2023
- Posted by: Studio Pozzan
- Categoria: News Commercialista
La Corte di Giustizia UE è stata chiamata nella causa C-472/22 in merito all’interpretazione degli articoli 49 TFUE e 63 TFUE nonché del principio generale del diritto dell’Unione di divieto di pratiche abusive.
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra un cittadino francese residente in Portogallo, e l’autorità tributaria e doganale del Portogallo in merito ad una domanda di annullamento di un atto di liquidazione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche in relazione ai redditi percepiti nel 2019.
Il Caso
Il cittadino francese che, nel 2019, aveva la residenza fiscale in Portogallo, ha venduto nello stesso anno ad una società di diritto francese, delle azioni di un’altra società di diritto francese, e, nella dichiarazione dei redditi che ha presentato per il 2019, ha dichiarato la cessione di partecipazioni societarie e la conseguente plusvalenza. Sulla base di questa dichiarazione, l’autorità tributaria gli ha notificato un atto di liquidazione dell’imposta. Tale autorità ha calcolato l’imposta dovuta per detta cessione prendendo in considerazione la totalità della plusvalenza risultante da quest’ultima, senza applicare la riduzione del 50%, prevista all’articolo 43, paragrafo 3, del codice IRS per le cessioni di partecipazioni in microimprese e piccole imprese non quotate in mercati borsistici regolamentati o non regolamentati.
Il giudice del rinvio chiede quindi chiarimenti sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di una prassi amministrativa consistente nel negare ai contribuenti che detengono partecipazioni in società estere il beneficio fiscale previsto all’articolo 43, paragrafo 3, del codice IRS. In particolare, il giudice del rinvio osserva che tale prassi potrebbe comportare una restrizione ingiustificata alla libertà di stabilimento di cui all’articolo 49 TFUE, in quanto ha l’effetto di dissuadere i residenti portoghesi dal partecipare, in modo stabile e continuativo, alla vita economica di un altro Stato membro, nonché alla libera circolazione dei capitali di cui all’articolo 63 TFUE, in quanto potrebbe dissuadere i residenti portoghesi dall’investire i propri capitali in un altro Stato membro.
Sentenza della Corte
Nella sentenza del 16 novembre 2023, la Corte di Giustizia UE ha dichiarato che la prassi fiscale di uno Stato membro che prevede benefici fiscali per le sole cessioni di partecipazioni in società con sede nello stesso Stato del cedente, negandoli invece se le società in questione sono residenti in altri Stati, vìola l’art. 63 del TFUE sulla libera circolazione dei capitali.
La Corte ritiene che la normativa nazionale d’interesse nel procedimento principale riguarda in generale le partecipazioni, senza che assuma rilevanza il fatto che queste siano state acquisite con l’intento di influire sulla gestione e sul controllo di un’impresa. Tale normativa è quindi idonea ad incidere in modo preponderante sulla libera circolazione dei capitali. L’eventuale restrizione alla libertà di stabilimento risultante da tale normativa è una conseguenza inevitabile della restrizione alla libera circolazione dei capitali.
Inoltre la Corte evidenzia che la normativa nazionale oggetto del procedimento principale, quale attuata dall’autorità tributaria, introduce una differenza di trattamento tra i residenti fiscali portoghesi che detengono partecipazioni in imprese che svolgono un’attività economica in Portogallo e quelli che detengono partecipazioni in imprese che esercitano un’attività economica al di fuori del Portogallo, poiché le plusvalenze derivanti dalle cessioni di partecipazioni in queste ultime imprese sono tassate in modo più oneroso. Pertanto, detta normativa rende più interessante investire in imprese stabilite nel territorio portoghese, a scapito di quelle stabilite in altri Stati membri. Una tale differenza di trattamento in funzione del luogo di investimento dei capitali ha l’effetto di dissuadere un residente fiscale portoghese dall’investire i suoi capitali in una società stabilita in un altro Stato e produce anche un effetto restrittivo nei riguardi delle società stabilite in altri Stati.
Il governo Portoghese non ha dimostrato che il beneficio fiscale concesso ai contribuenti che detengono partecipazioni in imprese che svolgono un’attività economica in Portogallo fosse compensato da un determinato prelievo fiscale, giustificando così l’esclusione dei contribuenti che detengono partecipazioni in imprese che svolgono un’attività economica al di fuori del Portogallo dal godimento di tale beneficio.
Pertanto, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, sembra che la normativa oggetto del procedimento principale, quale attuata dall’autorità tributaria, non sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale.