Per i lavoratori nel Terzo settore nascono dipartimenti ad hoc
- 1 Novembre 2019
- Posted by: Studio Pozzan
- Categoria: News Commercialista
di Valentina Melis
(AdobeStock)
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I lavoratori del terzo settore sono cresciuti costantemente negli ultimi anni, arrivando a quota 845mila, da 488mila del 2001. E se è vero che l’85% delle organizzazioni opera senza dipendenti, questa percentuale si abbassa di molto in alcuni settori di attività, ad esempio per gli enti che si occupano di istruzione, ricerca, sviluppo economico, assistenza sociale. La crescita del “mercato” di riferimento, con la Lombardia e il Nord Ovest in testa, è uno dei motivi che ha spinto lo studio legale Lexellent, attivo dal 1975, con sedi a Milano e Roma, e specializzato in diritto del lavoro, a fondare un dipartimento ad hoc per il Terzo Settore. Se ne occupano gli avvocati Marco Chiesara e Valentina Messana. «Nel non profit – spiega Chiesara – c’è di tutto: dalle piccole organizzazioni, dove i ruoli si sovrappongono, agli enti più grandi che hanno dipartimenti delle risorse umane al loro interno. L’interesse dello studio Lexellent per questo ambito – aggiunge – nasce da una riflessione sulla crescita del settore ma anche da un’attenzione ai temi dell’inclusione e del lavoro equo e non discriminatorio». Oltre ai panni del consulente esterno, nel non profit Marco Chiesara riveste anche quelli del “datore di lavoro”: dal 2007 è presidente di WeWorld Onlus, un’organizzazione non governativa attiva, tra l’altro, nel contrasto alla violenza di genere. «Abbiamo assistito a un’evoluzione», spiega ancora Chiesara. «Anni fa si pensava che il lavoraratore del terzo settore fosse portatore di una missione. Oggi è cresciuta la consapevolezza che esiste un diritto del lavoro, valido per tutti, che si deve applicare».
Uno degli obiettivi della riforma del terzo settore avviata nel 2016 e ancora in attesa di attuazione è quello di aumentare la professionalizzazione degli enti. Ma ci sono, secondo Chiesara, alcune regole per gli Ets che potrebbero tradursi in criticità:?«Il divieto di riconoscere ai lavoratori – spiega – retribuzioni o compensi superiori del 40% rispetto a quelli previsti dai Ccnl di riferimento, potrebbe mettere in difficoltà gli enti nell’attrarre il personale migliore, ad esempio per i responsabili amministrativi di grandi organizzazioni, per i grandi esperti di raccolta fondi o per il lavoro all’estero. Un altro vincolo – aggiunge Chiesara – è l’incompatibilità tra il volontariato e il lavoro retribuito per una stessa organizzazione».