Prelevamenti sul conto corrente: quando si presumono ricavi

La Commissione tributaria provinciale di Arezzo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, numero 2), del d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui pone la presunzione per la quale i prelevamenti sul conto corrente, se non risultano dalle scritture contabili, sono considerati ricavi dell’imprenditore commerciale, salvo che ne sia indicato il beneficiario.

La CTP rimettente assume la violazione dell’art. 3 Cost. sul piano dell’intrinseca ragionevolezza, atteso che, in mancanza di giustificazione, un prelievo dal conto può essere attribuito, altrettanto ragionevolmente, a costi d’impresa quanto a spese personali, specie nell’ipotesi di piccoli imprenditori individuali che abbiano optato per il regime di contabilità semplificata. L’acquisizione di fattori produttivi, in ogni caso, avrà in ipotesi prodotto entrate che sono state contabilizzate, e quindi dichiarate, oppure, in caso contrario, già considerate nell’accertamento quali versamenti ingiustificati, con conseguente effetto di «duplicare la posta» se sono sommati i prelevamenti.

A fondamento del dubbio di legittimità costituzionale correlato alla violazione del principio di ragionevolezza, inoltre, la rimettente sottolinea che la giurisprudenza di legittimità, assunta come prevalente, non consente una deduzione automatica dei costi presuntivamente sostenuti per conseguire i ricavi ottenuti grazie alle somme prelevate senza giustificazione. Vi sarebbe dunque che, nella prospettiva del giudice a quo, la presunzione contestata opera nel senso che mediante il prelievo viene effettuato un acquisto di fattori produttivi che genera, nel medesimo anno di imposta, ricavi pari ai prelevamenti non contabilizzati, in violazione del principio di capacità contributiva espresso dall’art. 53 Cost.

Sentenza della Corte

La Corte Costituzionale nella sentenza n. 10 del 31 gennaio 2023, rileva innanzi tutto e in estrema sintesi, che il quadro di riferimento, normativo e giurisprudenziale, nel quale si colloca la disposizione censurata, ossia l’art. 32, primo comma, numero 2), del d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui «i dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell’articolo 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi dell’articolo 18, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili».

La disposizione esprime una presunzione per la quale i versamenti sul conto corrente, salvo prova contraria del contribuente, ove non dichiarati o risultanti dalle scritture contabili, costituiscono ricavi “occulti” sottratti alla tassazione. Viene invece in rilievo in questa sede, ed è censurata sotto il profilo, tanto della violazione del canone di ragionevolezza quanto del principio di capacità contributiva, la stessa norma laddove pone la presunzione secondo cui anche i prelevamenti sul conto, se non risultanti dalle scritture contabili dell’imprenditore e salvo che quest’ultimo ne indichi il beneficiario, costituiscono, per un pari importo, ricavi.

In sostanza, nell’intento di contrastare più efficacemente gravi fenomeni di evasione, il legislatore ha in vero introdotto una sorta di duplice meccanismo inferenziale in forza del quale se un imprenditore effettua un prelievo non risultante dalla contabilità lo stesso deve ritenersi compiuto per sostenere costi “occulti” che a propria volta hanno prodotto pari ricavi “occulti”, salvo che il contribuente indichi il beneficiario del prelievo.

La Corte ricorda inoltre, che l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui pone la presunzione di equiparazione tanto dei versamenti a redditi “occulti”, quanto dei prelevamenti a ricavi non dichiarati, è stato modificato dal d.l. n. 193 del 2016, come convertito, che ha limitato l’operare della stessa ai soli prelevamenti per importi superiori a euro 1.000,00 giornalieri e, nel complesso, in ogni caso, a euro 5.000,00 mensili.

Si tratta di una presunzione a carattere relativo (quindi iuris tantum), e non già assoluto, perché opera solo se il contribuente non offre la prova contraria, potendo in particolare dimostrare, alternativamente:

a) che di tali dati ed elementi «ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta»;

b) o che essi «non hanno rilevanza allo stesso fine»;

c) oppure che i prelevamenti e gli importi riscossi «risultano dalle scritture contabili»;

d) o, infine, che gli stessi hanno un determinato «soggetto beneficiario», indicato puntualmente dal contribuente.

In mancanza di prova contraria, i prelevamenti e gli importi riscossi sono considerati «ricavi» e possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti suddetti per determinare il reddito imponibile nel regime delle imposte dirette.

La possibilità della prova contraria, così articolata, che può dare il contribuente, assicura, in principio, la non arbitrarietà della presunzione legale in favore del fisco.

La Corte evidenzia inoltre che gli uffici finanziari hanno la facoltà di procedere all’accertamento induttivo in senso stretto (o “puro”) nei seguenti casi:

– se la contabilità dell’impresa è complessivamente inattendibile ovvero se il reddito non è indicato nella dichiarazione;

– o se dal verbale ispettivo risulta che l’impresa non ha tenuto o ha sottratto all’accertamento scritture contabili obbligatorie ai fini fiscali;

– o se il contribuente non ha dato seguito all’invito a trasmettere o esibire atti o documenti e non ha risposto al questionario.

In queste ipotesi, l’amministrazione finanziaria può esercitare una serie di facoltà istruttorie ulteriori rispetto a quelle ordinarie (ossia può avvalersi dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a propria conoscenza; prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze della contabilità; avvalersi di presunzioni cosiddette “super-semplici”, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ad esempio, medie statistiche e altri dati di carattere astratto, non desunti dalla situazione concreta del singolo contribuente).

Proprio l’impossibilità di una ricostruzione complessiva della contabilità (o, comunque, la generalizzata inattendibilità della stessa) ha da tempo indotto la giurisprudenza di legittimità ad affermare il principio secondo il quale, nell’ipotesi di accertamento induttivo “puro”, deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura percentuale forfettaria. E anzi, nel caso di accertamento induttivo “puro”, è lo stesso ufficio finanziario ad essere onerato di determinare induttivamente non solo i ricavi, ma anche i corrispondenti costi.

Nel caso in esame tratta invece un accertamento analitico-contabile.

Quest’ultima forma di accertamento si caratterizza per la rettifica di singole componenti del reddito dichiarato e può derivare dal confronto tra la dichiarazione e le scritture contabili (il bilancio, in particolare), e dall’esame della documentazione posta a fondamento della contabilità, come, per l’appunto, le risultanze delle movimentazioni bancarie.

Presupposto dell’utilizzo del metodo analitico o “misto” è l’attendibilità complessiva della contabilità, che consente la rettifica di singole componenti reddituali: in sostanza, la determinazione del reddito è compiuta nell’ambito delle risultanze della contabilità, ma con una ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi o passivi, dei quali risulta provata aliunde la mancanza o l’inesattezza.

Nell’esaminare la questione della deducibilità dei costi anche a fronte di un accertamento analitico contabile compiuto mediante indagini bancarie, occorre considerare che la disposizione censurata consente all’amministrazione finanziaria di avvalersi di una presunzione che, quanto all’equiparazione dei prelevamenti ai ricavi, è in realtà duplice (o di secondo grado): i prelievi sarebbero utilizzati per sostenere costi occulti, i quali a loro volta avrebbero generato pari ricavi non risultanti, anch’essi, dalla contabilità dell’imprenditore.

In una fattispecie siffatta dunque, tanto che il metodo di accertamento sia analitico-induttivo, quanto induttivo cosiddetto “puro”, finirebbe effettivamente con il violare i principi di ragionevolezza e di capacità contributiva un sistema nel quale fosse consentito alla stessa amministrazione dimostrare, in virtù di un meccanismo inferenziale di secondo grado, che i prelievi del contribuente-imprenditore sono serviti per sostenere costi “occulti”, dai quali sono stati prodotti ricavi “occulti”, pari ai prelievi in questione, senza che sia possibile la deduzione dei costi sostenuti dall’imprenditore per produrre tali ricavi, secondo una prova contraria per presunzioni offerta da quest’ultimo.

La Corte osserva altresì che le imprese che adottano un sistema di contabilità semplificata non sono obbligate a redigere il bilancio e sono esonerate dalla tenuta delle scritture contabili (libro giornale, libro inventari e scritture ausiliarie), in quanto devono registrare solo i costi e i ricavi di competenza dell’esercizio, mentre non devono provvedere a rilevare gli incassi e i pagamenti. Tale problema sarebbe stato superato prevedendo adeguate soglie di movimentazioni giornaliere su conto corrente (sino all’importo di 1.000,00 euro) e mensili (sino all’importo complessivo di 5.000,00 euro), al superamento delle quali opera la presunzione in esame.

Alla luce delle osservazioni rilevate, la Corte Costituzionale ha dunque dichiarato infondate le questioni di legittimità Costituzionale.

A cura della Redazione

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