Principio di proporzionalità nell’attività di accertamento. Cosa serve per la sua efficacia?

Man mano che si procede nell’analisi delle ampie riforme introdotte sulla base della legge delega fiscale n. 111/2023, emerge la convinzione che l’effettiva portata delle novità – in generale, assai positive, sotto il profilo della regolamentazione dei “procedimenti” – dipenderà, ancor più di quanto accadesse in precedenza, dalla tensione interpretativa indubbiamente esistente tra le singole disposizioni ancora allocate nei testi tradizionalmente riservati alla dichiarazione, ai controlli e agli accertamenti, alla riscossione, da un lato, e norme di principio implementate e rafforzate nello Statuto dei diritti del contribuente, dall’altro. Mentre lo Statuto del contribuente è stato oggetto di una revisione che ha inteso potenziarne la capacità di imporsi quale normativa di principio e di carattere generale, ma che nel contempo lo ha reso molto più analitico e dettagliato di quanto accadesse in precedenza, le singole disposizioni sull’accertamento – inteso soprattutto come attività di controllo finalizzata ad emettere atti autoritativi – sono rimaste nella gran parte dei casi immutate nella loro formulazione.

L’introduzione del principio di proporzionalità nell’attività di accertamento (non consideriamo in questa sede le sanzioni, a proposito delle quali il principio sarà articolato nel decreto delegato riservato alla riforma delle misure punitive) rappresenta un caso emblematico di questo conflitto; si tratta di una scelta del legislatore delegato che risponde al criterio di delega che prevedeva l’adeguamento della legislazione ai principi del diritto europeo, tra i quali quelli sanciti dalla Carta dei diritti dell’Unione europea.

Il principio è enunciato con grande precisione ed evidenza nell’art. 10-ter dello Statuto del contribuente (legge n. 212/2000), collocato non a caso dopo la norma sul contrasto all’elusione e dopo quella sui principi di collaborazione affidamento e buona fede; per di più, esso compare nel comma 3-bis dell’art. 1 dello Statuto, quale principio fondante del rapporto tra fisco e contribuenti (insieme ad accesso, contraddittorio, affidamento, divieto di bis in idem, autotutela), che come tale dovrà imporsi alla legislazione regionale (anche a statuto speciale) e alla normazione regolamentare degli enti locali, quale standard minimo da assicurare in ogni caso.

Nell’art. 10-ter, di cui è evidente la matrice colta, è indicato analiticamente il contenuto del principio: il procedimento tributario bilancia i diritti del contribuente e la protezione dell’interesse alla percezione dei tributi (comma 1), quindi l’azione amministrativa deve (comma 2) essere necessaria, non eccedente rispetto ai fini, adeguata nel senso che non deve comprimere diritti e libertà dei contribuenti oltre quanto strettamente necessario; il fatto che l’azione amministrativa si diriga verso casi di elusione o di evasione fiscale non esonera l’autorità dal rispetto del principio.

Le manifestazioni del principio sono agevolmente rinvenibili nella casistica giurisprudenziale e nell’analisi dottrinale: ad esempio, nella scelta del mezzo istruttorio meno invasivo, e nella progressività dei poteri di indagine; nella modalità di controllo, soprattutto quando esso avviene mediante indagine presso il contribuente (durata della verifica, analisi dei documenti fuori dagli uffici aziendali); nei limiti alla reiterazione degli atti; nei limiti alle norme che prevederebbero, in teoria, rigide preclusioni per la produzione di documenti non tempestivamente forniti all’amministrazione su sua richiesta; nel divieto di richiesta di documenti già posseduti dall’Amministrazione finanziaria o agevolmente alla sua portata.

Meno agevole affermare la proporzionalità in relazione al contenuto degli atti di accertamento, poiché vi osta la natura vincolata dell’atto; e tuttavia, ogni volta che il metodo di accertamento sia fortemente presuntivo, o abbia carattere parasanzionatorio, il principio riemerge in tutta la sua forza e utilità, riportando a ragionevolezza le determinazioni della base imponibile (il punto sarà centrale, a proposito del concordato preventivo biennale e delle future applicazioni dell’intelligenza artificiale).

Dall’elencazione che precede si coglie che l’art. 10-ter (rafforzato dal comma 3-bis dell’art. 1) costituirà un metro di giudizio costante e immanente, rispetto ad un’azione amministrativa regolata da norme specifiche che, sui temi indicati in precedenza, sono rimaste sostanzialmente immutate.

A parità di valore gerarchico delle norme, in senso strettamente formale, andrà riconosciuto, domani più di ieri, che lo Statuto deve assumere una funzione di guida nell’interpretazione della galassia di norme di settore: che del resto è prevista già nell’art. 1, comma 1, della legge 212/2000, là dove si parla dello Statuto quale normativa che fornisce i criteri di interpretazione della restante normativa tributaria.

Perché abbia un’effettiva applicazione, il principio di proporzionalità potrà condurre all’annullamento totale o parziale degli atti impositivi che risultino inadeguati, sbilanciati, frutto di compressione ingiustificata dei diritti del contribuente.

E del resto, se è vero che tra i fattori di annullabilità e di nullità dell’atto impositivo non compare la violazione della proporzionalità (si vedano gli artt. 7-bis e 7-ter del nuovo Statuto – legge 212/2000), è anche vero che l’art. 7-quinquies prevede la inutilizzabilità degli elementi di prova acquisiti oltre la durata massima della verifica, ovvero raccolti in violazione di legge, e che l’art. 9-bis, sia pure con la salvezza delle norme specifiche, pone un divieto di esercitare in modo frazionato l’attività accertatrice.

Sarebbe forse stato preferibile un intervento – peraltro non agevole – del legislatore a correzione delle disposizioni di legge più facilmente idonee ad un uso sproporzionato da parte dell’Amministrazione finanziaria; ma, poiché questa strada non è stata seguita, la via per dare concreta efficacia alla riforma è quella di affermare, sin da oggi e in futuro, un valore preminente dei principi statutari; se Amministrazione finanziaria e giurisprudenza (e forse anche il contribuente, il quale non resta del tutto estraneo all’applicazione del principio di proporzionalità) non avranno la volontà e/o la capacità di assicurare questa preminenza, la riforma risulterebbe di mera facciata.

Copyright © – Riproduzione riservata

Fonte