Anche nel corso della composizione negoziata può essere concluso un accordo transattivo tra il debitore, da un lato, e le agenzie fiscali e l’agente della Riscossione, dall’altro lato; ma l’accordo non può riguardare i tributi costituenti risorse proprie UE. La previsione, contenuta nel Correttivo ter della crisi d’impresa, ha generato un vivace (ancorché ingiustificato) dibattito sull’ampiezza di tale esclusione e, in particolare, sulla possibilità di falcidiare anche l’IVA. In realtà, non sussiste alcun ostacolo a prevedere la falcidia dell’IVA nel contesto degli istituti che disciplinano le crisi aziendali. Il legislatore può decidere di escludere tale falcidia per ragioni di opportunità ma, in questa ipotesi, deve prevederlo espressamente con un’apposita disposizione e il comma 2-bis dell’art. 23 del Codice della crisi non contiene affatto tale disposizione.
Cosa prevede il correttivo ter della crisi
Sin dall’approvazione del correttivo in prima lettura da parte del Consiglio dei Ministri, questa disposizione ha generato un vivace, ancorché ingiustificato, dibattito sull’ampiezza di tale esclusione e in particolare sulla possibilità di falcidiare anche l’IVA, sul presupposto che costituisca una risorsa propria dell’Unione europea.
Quali sono le risorse proprie dell’UE?
In base alla decisione UE- Euratom 2020/2053 del Consiglio dell’Unione europea del 14 dicembre 2020 sono da considerare risorse proprie dell’Unione le entrate provenienti:
– dalle risorse proprie tradizionali costituite da prelievi, premi, importi supplementari compensativi, importi o elementi aggiuntivi, dazi della tariffa doganale comune e altri dazi fissati da parte delle istituzioni dell’Unione sugli scambi con paesi terzi, dazi doganali sui prodotti che rientrano nell’ambito di applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, nonché contributi e altri dazi previsti nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero;
– dall’applicazione di un’aliquota di prelievo dello 0,30% per tutti gli Stati membri al gettito IVA totale riscosso per tutte le forniture imponibili diviso per l’aliquota IVA media ponderata calcolata per l’anno civile pertinente (la base imponibile da prendere in considerazione non può superare per ciascun Stato il 50% del reddito nazionale lordo);
– dall’applicazione di un’aliquota uniforme di prelievo sul peso dei rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati generati in ciascun Stato membro. L’aliquota uniforme di prelievo è pari a 0,80 euro per chilogrammo, salvo eventuale riduzione forfettaria;
– dall’applicazione di un’aliquota uniforme di prelievo, da determinare nel quadro della procedura di bilancio, tenuto conto di tutte le altre entrate, alla somma del reddito nazionale lordo di tutti gli altri Stati membri.
Si deve pertanto escludere che tra le risorse proprie dell’Unione europea rientri l’IVA, che deve essere conseguentemente considerata falcidiabile al pari delle altre imposte.
L’obiettivo indicato dalle commissioni parlamentari, costituito dall’applicazione dell’accordo anche ai debiti relativi all’IVA, era da condividere, ma è errato il presupposto del suggerimento delle due commissioni parlamentari, e cioè che il novellato art. 23, comma 2-bis escludesse l’IVA dal campo di applicazione dell’accordo.
Che si tratti di un presupposto errato è attestato dai lavori preparatori del provvedimento, nel corso dei quali era stata, sì, richiesta dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli l’esclusione dall’accordo, oltre che delle risorse proprie tradizionali dell’Unione europea, anche dell’IVA, ma tale previsione non ha poi avuto seguito e nel testo del decreto non compare più la parola “IVA” inserita in una bozza di tale provvedimento a seguito di tale richiesta.
Lo attesta, inoltre, il fatto che in base alla decisione del Consiglio dell’Unione europea sopra richiamata questo tributo non rientra tra le risorse proprie dell’Unione europea. È vero – come si è esposto – che sono considerate tali le entrate provenienti dall’applicazione di una percentuale minima al gettito IVA calcolato secondo specifici criteri; tuttavia, ciò non significa – come il Tribunale di Milano ha chiarito sin dal 2008 – che questa imposta costituisca di per sé una risorsa propria dell’Unione e, a tutto concedere, rappresentando essa solo la base di commisurazione del prelievo destinato a finanziare l’Unione europea, e può, semmai, essere considerata tale solo nella minima parte corrispondente alla percentuale dello 0,30% (la risoluzione 29 marzo 2007 adottata dal Parlamento Europeo identificava l’IVA incassata da ciascuno Stato membro, appunto, come parametro di contribuzione, ovverosia quale mera “base matematica per il calcolo dei contributi nazionali”).
Il problema dunque non sussisteva, ma la circostanza che le Commissioni parlamentari (non un qualsiasi commentatore) avessero suggerito una modifica del comma 2-bis dell’art. 23, allo scopo di consentire che anche l’IVA possa essere falcidiata, ha rischiato di generare (e di confermare) interpretazioni errate.
Le considerazioni contenute in tale bozza di relazione illustrativa erano da ritenersi ancor più fuori luogo del suggerimento che le aveva generate, per i seguenti motivi:
i) innanzitutto, perché la norma, indipendentemente da quanto affermato nella relazione, non consente di affermare l’esclusione dell’IVA dal campo dei tributi che possono essere oggetto dell’accordo di cui trattasi, da cui sono escluse sole le risorse proprie dell’Unione Europea, atteso il disposto della già citata UE- Euratom 2020/2053 del Consiglio dell’Unione europea del 14 dicembre 2020 sopra esposto, in base al quale, l’IVA costituisce risorsa propria dell’Unione solo per lo 0,30% del gettito;
ii) in secondo luogo, perché ciò che avrebbe dovuto attestare il professionista indipendente, di cui le due Commissioni parlamentari avevano suggerito la nomina, già rientra in ciò che il professionista indipendente indicato dal comma 2-bis dell’art. 23 deve attestare con riguardo alla generalità dei crediti dell’Amministrazione finanziaria: la convenienza dell’accordo per le agenzie fiscali rispetto alla liquidazione giudiziale. È infatti evidente che se tale convenienza sussiste significa che il debito IVA non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di liquidazione giudiziale, perché in caso contrario l’accordo non sarebbe conveniente;
iii) inoltre, perché è ancor più evidente che, per quanto onerosa potesse essere la redazione di un’ulteriore attestazione, l’onere rappresentato dal suo costo sarebbe sempre necessariamente minore del vantaggio che il debitore trae dalla riduzione dell’IVA consentita dall’accordo (essendo essa necessariamente un multiplo di tale costo);
iv) infine, perché, sebbene sia vero che l’imprenditore che accede alla composizione negoziata non sempre è insolvente, nel qual caso la falcidia dell’IVA potrebbe non essere indispensabile ai fini del risanamento aziendale, non vi è dubbio che può anche esserlo e in questa ipotesi la falcidia può certamente rivelarsi utile per riequilibrare la situazione finanziaria dell’impresa insolvente. Tuttavia, l’IVA non può costituire risorsa propria dell’Unione a seconda della gravità della situazione del debitore. Ne deriverebbe un doppio regime: uno da applicare in caso di insolvenza e l’altro in assenza di insolvenza, che – oltre a essere illogico – non è previsto da alcuna norma. Poiché il cram down è escluso, saranno le agenzie fiscali a verificare di volta in volta qual è lo stralcio necessario per consentire il risanamento aziendale, a seconda della gravità dello stato di crisi del debitore;
v) infine, non è dato comprendere per quale ragione, quando l’imprenditore non versa in uno stato di insolvenza, non potrebbe falcidiare l’IVA nonostante possa pacificamente falcidiare il debito originato dall’omesso pagamento di ritenute operate e non versate; si tratta, infatti, di inadempimenti la cui natura sul piano della condotta del debitore, che nella sostanza trattiene somme non sue (o non integralmente non sue nel caso dell’IVA, il che rende ancor più evidente la contraddizione), non differisce.
Se il legislatore avesse voluto escludere la possibilità di concordare la falcidia dell’IVA nella composizione negoziata, avrebbe potuto – e dovuto – stabilirlo con poche semplici parole, ma non lo ha fatto. Anzi, come si è già rilevato, nel corso dei lavori, per quel che ciò può rilevare sul piano interpretativo in assenza di documenti pubblici, la parola “IVA” era stata inclusa nella norma per escluderne la possibilità di riduzione mediante l’accordo, ma poi è stata cancellata.
Ciò posto, rinvenire la suddetta infalcidiabilità nella disposizione che vieta la riduzione dei debiti relativi alle risorse proprie dell’Unione Europea significa far dire al legislatore, non solo ciò che non ha detto, ma addirittura ciò che è evidente che non ha voluto dire, considerato tale eventualità, pur essendo stata presa in considerazione, a seguito di specifica richiesta di un’agenzia fiscale, è stata esclusa.
In conclusione
Anche alla luce di tale evoluzione della legislazione nel tempo, ciò che rileva ai fini di cui trattasi è che:
i) da un lato non sussiste alcun ostacolo, né costituzionale né unionale, a prevedere la falcidia dell’IVA nel contesto degli istituti che disciplinano le crisi aziendali;
ii) dall’altro lato, il legislatore ben può escludere tale falcidia, come nell’ambito della composizione negoziata l’ha esclusa relativamente ai debiti contributivi. Tuttavia, se per ragioni di opportunità intende farlo, deve prevederlo espressamente con un’apposita disposizione; infatti, non rientrando l’IVA tra le risorse proprie dell’Unione europea, il divieto di riduzione di questo tributo non può discendere da quello eventualmente stabilito relativamente a dette risorse.
Fortunatamente, il testo definitivo della relazione illustrativa del Correttivo ter ha opportunamente risolto la querelle, rappresentando che:
1) “l’esclusione inserita nella norma riguarda solo i tributi costituenti risorse dell’Unione europea e dunque non riguarda l’IVA”;
2) pertanto il dettato normativo “consente il raggiungimento di un accordo anche per la decurtazione o il pagamento dilazionato di tale imposta”.
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