Qual è la natura fiscale del saldo da rivalutazione? La chiarezza della legge “non ferma” l’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate sostiene con la Cassazione che l’imputazione di un disavanzo di fusione (da annullamento) a riduzione del saldo da rivalutazione comporta il concorso alla formazione del reddito dello stesso. L’assunto da cui muove è, evidentemente, quello secondo cui tale concorso debba avvenire in ragione di qualsiasi utilizzo della riserva diverso dalla copertura delle perdite di esercizio e dalla imputazione a capitale. Si tratta, però, di un assunto errato al fine di definire il regime tributario del saldo. Il saldo da rivalutazione è una riserva in sospensione tassabile solo in caso di distribuzione.

Un tarlo rode la lunga sequenza di leggi di rivalutazione che, quanto alla disciplina del saldo attivo da rivalutazione, rinviano all’art. 13 della legge n. 342/2000.

La risposta ad interpello n. 316, pubblicata dall’Agenzia delle Entrate il 24 luglio 2019, segnala ancora una volta la sua disturbante presenza. In questa risposta l’Agenzia sostiene (come peraltro aveva già fatto la Cassazione nella sentenza n. 5943/2017) che l’imputazione di un disavanzo di fusione (da annullamento) a riduzione del saldo da rivalutazione comporta il concorso alla formazione del reddito dello stesso. L’assunto da cui muove (riportabile alla risoluzione n. 32/E del 2005) è, evidentemente, quello secondo cui tale concorso debba avvenire in ragione di qualsiasi utilizzo della riserva diverso dalla copertura delle perdite di esercizio e dalla imputazione a capitale.

Si tratta però di un assunto errato, presupponendo come rilevanti, al fine di definire il regime tributario del saldo, anche i primi due commi dell’art. 13, che però rilevanti a tale fine non sono.

Nessun riferimento si riscontra in queste disposizioni al regime tributario del saldo. Le stesse si occupano, infatti, chiaramente soltanto della sua contabilizzazione, individuandone il regime civilistico, che è modellato su quello del capitale sociale, tanto (ovviamente) nel caso in cui il saldo sia imputato al capitale sociale (direttamente o in un secondo tempo), quanto nel caso sia imputato a riserva. Peraltro, nonostante il comma 1 escluda “ogni diversa utilizzazione” del saldo, il comma 2, primo periodo, prevede che, appunto come il capitale sociale, la riserva da rivalutazione possa essere liberamente ridotta, e dunque resa “diversamente utilizzabile” (ad esempio, per una riclassificazione o per una distribuzione), sol che si segua la procedura di cui all’art. 2445, commi 2 e 3, c.c., e dunque la stessa procedura da adottare nel caso di riduzione del capitale sociale.

Una disciplina specifica è dettata soltanto per il caso di utilizzo a copertura perdite. Per questo caso il comma 2, secondo periodo, stabilisce infatti che la sua reintegrazione è condizione indefettibile per la successiva distribuzione di utili, a meno che non si proceda alla sua riduzione, per la quale è richiesta la delibera della assemblea straordinaria, (questa volta) senza l’osservanza delle forme di cui all’art. 2445, commi 2 e 3.

Del regime tributario del saldo si occupano i commi successivi, i quali esprimono in modo assolutamente nitido due scelte legislative.

Anzitutto, la scelta di collocare la riserva da rivalutazione nella categoria delle riserve in sospensione d’imposta: “Se il saldo attivo viene […] le somme […] concorrono a formare il reddito […]”. Di collocarla, cioè, tra quelle riserve che corrispondono ad incrementi di ricchezza a tassazione “sospesa”, ossia ad incrementi che, anziché concorrere (come dovrebbero) alla formazione del reddito imponibile nel periodo d’imposta in cui emergono (in detto periodo essendo sottratti al prelievo o, come nel caso di specie, assoggettati a prelievi sostitutivi), concorrono alla formazione del reddito imponibile nel periodo d’imposta in cui si realizza uno di quegli accadimenti relativi alle riserve medesime che le pertinenti disposizioni (le disposizioni che le istituiscono e disciplinano) indicano come estintivi della sospensione. Dunque, tra quelle riserve che si riferiscono ad incrementi che godono di un rinvio della imposizione. Ma non di un rinvio qualsiasi. Di un rinvio che le pertinenti disposizioni specificamente legano alle sorti delle riserve medesime.

E poi, quella di collocare la riserva da rivalutazione nella sottocategoria delle riserve in sospensione tassabili solo in caso di distribuzione: “Se il saldo attivo viene attribuito ai soci o partecipanti […] le somme attribuite ai soci o ai partecipanti […] concorrono a formare il reddito […]”. La gamma degli accadimenti che impongono di conteggiare l’importo delle riserve nel reddito imponibile varia, infatti, notevolmente da regime di sospensione a regime di sospensione, secondo valutazioni discrezionali del legislatore. Per alcuni regimi (quelli meno rigidi) la gamma si esaurisce nella distribuzione ai soci delle riserve. Per altri comprende qualsiasi utilizzo delle stesse diverso dalla copertura perdite e/o dalla imputazione a capitale. Per altri ancora (quelli più rigidi) si estende a qualsiasi forma di impiego.

In base al comma 3 dell’art. 13, le riserve da rivalutazione ricadono chiaramente nella prima variante delineata. La tassazione dei saldi (in capo alla società e in capo ai soci o partecipanti) è, infatti, raccordata specificamente all’attribuzione degli stessi ai soci o partecipanti, e non ad altri eventi. Con la precisazione che l’attribuzione può avvenire in due forme: attraverso la riduzione della riserva da rivalutazione, oppure attraverso la riduzione del capitale sociale o del fondo di dotazione o del fondo patrimoniale (laddove i saldi siano stati imputati direttamente o in un secondo tempo al capitale, al fondo di dotazione o al fondo patrimoniale, nel qual caso diventa operante la presunzione assoluta di preventiva distribuzione dei saldi di cui al comma 4).

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