d) tra gli atti a cui non si applica il contraddittorio preventivo da individuare con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze vanno annoverati non solo quelli “automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni”, ma anche quelli di diniego di istanze di rimborso, tenendo conto dell’entità dell’importo di cui si è chiesta la restituzione (entità che, evidentemente, dovrà essere individuata dal decreto cui si fa rinvio).
La prima perplessità attiene alla scelta di intervenire sulla disciplina appena entrata in vigore con lo strumento dell’interpretazione autentica, che consente di selezionare uno dei possibili significati della norma interpretata facendolo prevalere definitivamente sugli altri.
In questa prospettiva, mi sembra di poter dire che l’art. 7-bis possa essere ricondotto alle norme di interpretazione autentica per quanto specificato:
i) sub a), visto che l’opzione ermeneutica poteva sicuramente desumersi dal testo dell’
art. 6-bis, commi 1 e 2;
ii) sub b), considerato che la decisione di lasciare inalterate le disposizioni, la prima delle quali è l’art. 10-bis dello Statuto, che già disciplinavano forme compiute di contraddittorio poneva una questione esegetica che poteva essere risolta in conformità alla scelta legislativa anche dagli “altri” interpreti.
Molto più difficile ricondurre alla ricordata categoria i “chiarimenti” di cui alle lettere c) e d). Per quest’ultima, la
statuizione è
palesemente innovativa, non potendosi in alcun modo sostenere che i dinieghi di rimborso siano riconducibili agli atti “automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni” indicati nell’art. 6-bis, comma 2. Lo stesso dicasi per gli atti di cui alla lettera c), a meno che – si tratterebbe però di un vero e proprio funambolismo interpretativo – non si decidesse di valorizzare il fatto che solamente dal nuovo
art. 6, comma 2 e comma 2-bis, del
D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 (presentazione dell’istanza di accertamento con adesione) e non anche dal nuovo
art. 38-bis del
D.P.R. n. 600 del 1973 (atto di recupero del credito di imposta) emerge la
distinzione tra
atti di recupero del
credito cui
non si applica e quelli a cui
si applica il
contraddittorio preventivo (sul punto, l’Editoriale dello stesso autore, “
La riforma dell’accertamento alla prova (non superata) della semplificazione”, pubblicato il 1° marzo 2024):
per “far quadrare le cose”, quindi, occorrerebbe far risultare, in via interpretativa, l’evidenziata caratteristica discretiva dall’art. 6-bis dello Statuto. Resterebbe tuttavia che, quand’anche valesse l’anzidetta ricostruzione, non riuscirebbe a scorgersi la ragione per cui si stabilisce interpretativamente che gli atti “fuori contraddittorio” possano essere identificati in quelli volti al recupero di crediti inesistenti e non anche in quelli tendenti alla restituzione di crediti non spettanti.
La seconda perplessità riguarda l’affermata compatibilità a livello di sistema tra contraddittorio preventivo generale e altre forme di contraddittorio preesistenti.
Si pensi all’accertamento in
materia antielusiva. Mi pare si possa dire, confrontando gli istituti, a questo punto indiscutibilmente coesistenti, che lo schema d’atto di cui all’
art. 6-bis, comma 3, corrisponda dal punto di vista strutturale e funzionale alla richiesta di chiarimenti di cui all’art. 10-bis, comma 6. Sarebbe stato quindi più opportuno, forse, anche nella
prospettiva della codificazione (cfr. dello stesso Autore, “
Testi Unici e Codice tributario, una strada da percorrere con convinta determinazione”, pubblicato il 14 marzo 2024 e di Massimo Basilavecchia, “
Testi Unici della riforma fiscale vs Codice tributario: qualche considerazione va fatta”, pubblicato il 22 marzo 2024),
non mantenere in vita una
disciplina speciale, quella in
materia antielusiva, che: i) non consente agli uffici, a differenza di quanto previsto nell’
art. 6-bis, di concedere al contribuente un termine superiore a 60 giorni per l’esercizio del diritto al contraddittorio (il tutto a fronte di fattispecie mediamente più complesse); ii) prevede regole più stringenti di proroga del termine di notifica degli accertamenti nel caso di richiesta di chiarimenti giunta in prossimità del termine previsto a pena di decadenza per l’esercizio della potestà impositiva (art. 10-bis, comma 7); iii) non contempla, a differenza di quanto previsto nell’
art. 6-bis, comma 3, il diritto di accesso agli atti del fascicolo nella fase preaccertativa, con la paradossale conseguenza che la norma di interpretazione autentica, escludendo
expressis verbis l’applicazione dell’
art. 6-bis, comma 1, per il confronto in materia antielusiva, rende particolarmente impegnativo sia sostenere che il diritto di accesso ai documenti non possa essere esercitato dal destinatario della richiesta di chiarimenti – si tratterebbe di inaccettabile discriminazione -, sia preferire la tesi opposta. Senza considerare che, quand’anche si optasse, nella prospettiva dell’interpretazione adeguatrice, per la prima soluzione, ci si scontrerebbe con il fatto che la più accentuata rigidità dei termini previsti dall’art. 10-bis rispetto a quelli contemplati dall’art. 6-bis (in quest’ultimo ambito procedimentale risulterebbe forse praticabile, ma siamo sempre nel campo delle ipotesi, la concessione di un termine più lungo per il contraddittorio a chi chieda di accedere al fascicolo) renderebbe sostanzialmente impossibile l’esercizio dell’anzidetto fondamentale diritto.
Non può sfuggire inoltre che un
problema interpretativo lo pone anche la formulazione dei nuovi commi 2 e 2-bis dell’
art. 6 del
D.Lgs. n. 218 del 1997, disciplinando, il primo, la
presentazione dell’
istanza di accertamento con adesione per i contribuenti “nei cui confronti sia stato notificato avviso di accertamento o di rettifica, ovvero atto di recupero, per i quali non si applica il contraddittorio preventivo”, il secondo la
presentazione dell’
istanza per gli
atti per cui
si applica il
contraddittorio disciplinato dall’
art. 6-bis. È pur vero, infatti, che, dovendosi escludere l’applicazione di quest’ultima disposizione al procedimento antielusivo, dovrebbe considerarsi applicabile il comma 2, con conferma delle regole che già oggi gli operatori sono abituati a utilizzare (presentazione dell’istanza entro il termine previsto per la proposizione del ricorso con sospensione dei termini di impugnazione per novanta giorni). È anche vero però che il ricordato secondo comma dell’art. 6 non si riferisce esplicitamente all’
art. 6-bis ma, più genericamente, agli atti per i quali non si applica il contraddittorio preventivo, ad atti, pertanto, diversi da quelli di cui all’art. 10-bis, per cui una compiuta forma di contraddittorio è da sempre prevista. A voler seguire la lettera della legge, dunque, si potrebbe addirittura ipotizzare che la riforma abbia fatto venir meno la possibilità di tentare l’adesione per chi risulti destinatario di un avviso di accertamento in materia antielusiva.
Risulta così dimostrato che l’affermazione per via legislativa della coesistenza di diversi moduli procedimentali non è sufficiente a garantire la semplificazione, dovendo il legislatore preoccuparsi anche del coordinamento tra gli stessi e, quindi, anche della ragionevolezza delle distinzioni derivanti dalla decisione di non uniformare modelli attuativi del prelievo sostanzialmente analoghi.
Da ultimo, merita segnalare che la già ricordata previsione secondo la quale il contraddittorio anticipato non è applicabile nel caso di atti volti al recupero di crediti inesistenti è francamente assurda. Quale il motivo dell’esclusione? Se a questi ultimi continueranno a essere riconducibili quelli per cui difetta il presupposto costitutivo, perché impedire ai contribuenti di interagire con gli uffici in modo da dar conto in via preventiva della sussistenza dei requisiti oggettivi o soggettivi previsti dalla legge per poter usufruire del credito? Ancora, perché ci si deve confrontare obbligatoriamente solo sui crediti non spettanti e non anche sui crediti inesistenti?
L’insipienza del legislatore ha raggiunto nella fattispecie qui in commento livelli altissimi, anche in considerazione del fatto che, quando l’emendamento è stato approvato, la tormentata disciplina dei crediti di imposta tra inesistenza e non spettanza stava per essere riscritta dal Governo con il decreto legislativo in materia di sanzioni. Oltretutto, non si poteva nemmeno fare affidamento sullo schema varato dal Consiglio dei Ministri il 21 febbraio 2024, visto che, successivamente all’esame parlamentare, si è deciso di riscrivere le norme sottoposte ai pareri richiesti dalla delega. In definitiva, lo stesso Parlamento dimostra di non condividere le scelte del Governo (dalle Commissioni competenti di Camera e Senato sono arrivate richieste di cambiamento del testo) e, nello stesso tempo, senza che si conoscessero, se non per vaghe anticipazioni informali, le nuove definizioni normative, stabilisce, con norma che vuole essere di interpretazione autentica, che per gli atti volti al recupero di quel che non si conosce non si applica il contraddittorio preventivo.
C’è un detto molto comune secondo il quale “chi ben comincia è a metà dell’opera”. Nella
riforma del
principio del contraddittorio si è invece
partiti malissimo: dalla scelta in merito alla collocazione concettuale del confronto pre-accertativo, ritenuto più mezzo istruttorio che strumento di partecipazione, su un piano di parità, all’accertamento, all’indebita sovrapposizione della disciplina del contraddittorio a quella dell’accertamento con adesione, passando per la pessima gestione della fase transitoria, tra atti di indirizzo e interventi d’urgenza (
art. 7, comma 1, del
D.L. n. 39 del 2024), il mancato coordinamento tra diversi schemi procedimentali, l’irragionevole esclusione di una sola categoria, dai contorni ancora evanescenti, di atti di recupero dei crediti di imposta.
Un
radicale ripensamento diventa a questo punto
sempre più necessario: si abbia dunque il coraggio di
ripartire dalla delega per
estendere il
contraddittorio, per come era previsto nell’
art. 12, comma 7, dello
Statuto del contribuente, a
tutti gli atti impositivi conseguenti alle
indagini effettuate
senza usufruire di
accessi, ispezioni e verifiche.
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