Rapporti tra processo penale e tributario: “evoluzioni” in arrivo dalla delega fiscale

Il sistema sanzionatorio penal-tributario ruota, essenzialmente, intorno al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 recante l’allora “nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto”.

Il quasi quarto di secolo trascorso ha lasciato percepibili tracce sull’impianto originario: le riforme più o meno settoriali susseguitesi dal 2004 al 2022 compreso hanno inciso sensibilmente sulla materia, sia per adeguarsi alla normativa comunitaria, sia per affinare il contrasto a fenomeni evasivi imponenti (e mantenutisi tali), sia per rispondere a scelte politiche del momento, finalizzate al reperimento comunque di introiti per l’Erario o al potenziamento del ricorso alla sanzione penale quale strumento di dissuasione dall’illecito e di repressione dello stesso.

I settori oggetto di un profondo e variegato ripensamento sono molteplici e forieri di interessanti prospettive.

Con apprezzabile celerità – rispetto al biennio previsto dalla legge delega per la riforma fiscale – è stata approntata una bozza del decreto legislativo di attuazione dei ricordati principi e criteri direttivi ed è iniziato l’iter tecnico e politico destinato a culminare nell’emanazione, da parte del Presidente della Repubblica, del decreto attuativo dell’art. 20 legge n. 111/2023.

Un settore dove si è ritenuto di apportare chiarezza ed innovazione è quello dei rapporti tra le sentenze penali e il processo tributario.

L’art. 21-bis della bozza del decreto legislativo non solo ribadisce, implicitamente, l’ovvio e cioè l’obbligo della Amministrazione di conformarsi al giudicato dell’autorità giudiziaria, ma sottolinea l’obbligo del giudice tributario di tener conto sotto vari profili della sentenza penale irrevocabile intervenuta nei confronti del contribuente imputato e “sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario”.

La rubrica dell’art. 21-bis pone in evidenza la volontà legislativa di precisare la “efficacia delle sentenze penali” e, a tal fine, distingue in relazione alla formula terminativa e al rito percorso per arrivare alla sentenza.

La sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato “in ogni stato e grado” del processo tributario, ma solo se la formula terminativa è “perché il fatto non sussiste” o perché “l’imputato non lo ha commesso”. Formule assolutorie diverse non rilevano nel processo tributario perché non escludono i fatti fiscalmente rilevanti: ad es., la formula terminativa “perché il fatto non costituisce reato” accerta che il fatto esiste e che l’imputato lo ha commesso, il che conserva la sua rilevanza tributaria perché l’essere sotto soglia o “particolarmente tenue” (art. 131-bis c.p.) non esclude che il fatto integri un illecito tributario non penale.

Quanto all’ambito soggettivo della sentenza penale assolutoria, solo l’assoluzione definitiva “perché il fatto non sussiste” giova – oltre che alla persona fisica imputata – alla persona fisica datrice di lavoro “nell’interesse della quale ha agito il dipendente” e all’ente (contribuente) nel cui interesse ha agito il rappresentante/amministratore anche di fatto.

Questa efficacia della sentenza penale assolutoria nei confronti del contribuente (persona fisica o ente) non imputato viene esclusa anche in presenza della formula “per non aver commesso il fatto” perché l’assoluzione del dipendente/amministratore/rappresentante imputato non esclude che l’illecito tributario esista, ma commesso da altra persona (come dovrà accertare il processo tributario o un diverso processo penale).

La formula terminativa assolutoria perché il fatto non sussiste sembrerebbe non essere vincolante nel processo tributario quando venga pronunciata non a seguito del dibattimento, ma di giudizio abbreviato.

Questa eventualità non è presa in considerazione dall’art. 21-bis della bozza di decreto legislativo in esame: ma è opportuno che la norma venga riformulata prendendo spunto dall’art. 652, comma 2, c.p.p. che valorizza anche la sentenza assolutoria resa nel giudizio abbreviato.

Importante è notare che il vincolo (per l’Amministrazione tributaria e) per il giudizio tributario si determina anche se lo Stato-Erario non si era costituito parte civile nel processo penale, conclusosi con sentenza assolutoria.

Meno problemi pone la sentenza definitiva di condanna che sia stata pronunciata in seguito a dibattimento o in seguito a giudizio abbreviato.

Gli articoli 652 e 654 c.p.p. già disciplinano questa fattispecie e ad essi può utilmente farsi riferimento.

In materia rileva l’art. 21-ter della bozza del decreto legislativo in esame, rubricato “applicazione ed esecuzione delle sentenze penali e amministrative” secondo cui il giudice o l’autorità amministrativa che intervenga per secondo deve tener conto delle sanzioni già irrogate con provvedimento o sentenza assunti in via definitiva.

Viene recepito nel sistema sanzionatorio non il divieto di bis in idem, ma un correttivo che rende meno gravoso il sommarsi di due trattamenti sanzionatori.

Mentre è agevole pensare ad un ridimensionamento delle sanzioni pecuniarie (ma la discrezionalità è sovrana), qualche problema in più si porrà ove il giudizio penale segua al provvedimento applicativo di sanzione da parte dell’autorità amministrativa, in quanto la riduzione inciderà su una pena ragionevolmente detentiva e, quindi, fungerà da attenuante sui generis, ancora una volta di contenuto incerto.

Gli articoli 21-bis e 21-ter della bozza in esame non prendono in considerazione la sentenza applicativa di pena a seguito del patteggiamento, sentenza che non è equiparabile a una sentenza di condanna, risolvendosi in una “rinuncia a difendersi”. Consapevole o no il legislatore delegato, la fattispecie è già esplicitamente disciplinata dall’art. 445, comma 1-bis, c.p.p. alla cui stregua la sentenza di patteggiamento, “anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile”.

La sentenza di patteggiamento per reato tributario, per quanto inefficace per volontà legislativa, non si sottrae al disposto dell’art. 21-ter e, pertanto, la pena concordata e applicata ben potrà essere (ulteriormente) mitigata o fungere da causa riduttiva della seconda sanzione in relazione a quale sia l’autorità intervenuta per prima.

Si aprono interessanti profili di riequilibrio del sistema sanzionatorio complessivamente inteso, sui quali un supplemento di riflessione non guasterebbe alla luce del contesto normativo nel quale la riforma verrà ad inserirsi.

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