Rappresentante indiretto: l’IVA all’importazione non è dovuta

Nonostante sia la giurisprudenza UE prima sia la Cassazione poi, abbiano segnato un indirizzo ben netto e contrario alla “visione” dell’Ufficio, quest’ultimo sembrerebbe rimanere fermo sulle proprie posizioni, richiedendo dunque il pagamento dell’IVA anche a tale soggetto.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia UE

Partendo anzitutto dalla giurisprudenza unionale, la Corte di Giustizia, nella sentenza del 12 maggio 2022 resa nella causa C-714/20 (U.I. Srl contro Agenzia delle Dogane e dei monopoli – Ufficio delle dogane di Venezia) ha stabilito il principio di diritto per cui il rappresentante doganale indiretto è debitore unicamente dei dazi doganali dovuti per le merci dichiarate in dogana per l’importazione e non anche dell’IVA.

Il tutto sulla base di due motivi. Il primo è quello per cui l’IVA all’importazione non fa parte né dell’obbligazione doganale né dei dazi all’importazione, così come definiti dall’art. 5, punti 18 e 20, del CDU (Codice Doganale dell’Unione – Regolamento UE 9 ottobre 2013, n. 952 – in tal senso si veda anche Corte di Giustizia, 2 giugno 2016, C-226-228/14, Eurogate; Corte di Giustizia, 29 luglio 2010, C-248/09, Pakora Pluss), con ciò riaffermandone la natura di tributo interno, anche in termini sanzionatori.
Il secondo riguarda invece il fatto che la normativa dell’Unione europea in materia di IVA, in particolare l’art. 201 della direttiva IVA (direttiva n. 2006/112/CE), non opera un rinvio alle disposizioni del Codice doganale per quanto riguarda l’obbligo di pagare tale imposta, bensì prevede che tale obbligo incomba alla persona o alle persone designate o riconosciute dallo Stato membro di importazione.

Ebbene, le disposizioni domestiche in materia di IVA individuano come unica persona debitrice dell’IVA all’importazione il proprietario delle merci, senza menzionare nessuna forma di solidarietà passiva in capo al rappresentante doganale indiretto la cui responsabilità dovrebbe essere – se del caso – introdotta con una norma nazionale “sufficientemente chiara e precisa”, ad oggi non rinvenibile.

Secondo tale pronuncia, quindi, il rappresentante indiretto che, in quanto tale, assume la veste di dichiarante, non può essere ritenuto responsabile, in solido con l’importatore, per il pagamento dell’IVA all’importazione in assenza “di disposizioni nazionali che lo designino o lo riconoscano, in modo esplicito e inequivocabile, come debitore di tale imposta”.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione

Alle medesime conclusioni è giunta la Corte di Cassazione che, con sentenza 27 luglio 2022, n. 23526 (sul solco di Cass., sez. V, 12 novembre 2019, n. 29195; Cass., sez. V, 24 settembre 2019, n. 23674; Cass., sez. V, 14 febbraio 2019, n. 4384), e da ultimo con ordinanza n. 18144 del 26 giugno 2023, si è uniformata ai principi di diritto resi nella sentenza della Corte di Giustizia UE nella causa C-714/20 e ha confermato l’assoluta estraneità del rappresentante doganale indiretto all’obbligo di versamento dell’IVA all’importazione.

Anche in questo caso il motivo è duplice:

– da un lato “l’IVA all’importazione non fa parte dell’obbligazione doganale”, come definita dal CDU;

– dall’altro non si rinvengono “specifiche ed inequivoche disposizioni nazionali che ne prevedano la responsabilità solidale”.

Il principio di neutralità dell’imposta

La conclusione per cui la ripresa dell’IVA all’importazione nei confronti del rappresentante doganale indiretto è illegittima, del resto, è quella che meglio garantisce altresì il principio di neutralità dell’imposta, quale baluardo che va a salvaguardare il corretto meccanismo della sua applicazione e che va preservato anche in relazione all’IVA all’importazione, che rischierebbe altrimenti di trasformarsi in una sanzione impropria.

L’art. 19 del decreto IVA, infatti, come sintetizzato nella risoluzione n. 431354/1990, “espressamente dispone che è ammesso in detrazione, dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta «assolta o dovuta» dal contribuente in relazione ai beni importati, ove con la locuzione «contribuente» non può che riferirsi all’effettivo importatore, vale a dire al destinatario delle merci, quale risulta dalla fattura estera di acquisto, unico soggetto legittimato all’esercizio del diritto di detrazione della relativa imposta”.
Ecco, quindi, che il rappresentante indiretto, non essendo il destinatario delle merci impiegate nell’esercizio della propria attività, si troverebbe nella situazione di dover corrisponderein propriol’IVA all’importazione senza essere, in linea di principio, legittimato a recuperarla attraverso la detrazione, per mancanza dei requisiti di inerenza ed afferenza di cui all’art. 19 del D.P.R. IVA.

Nello stesso senso si ricordi anche la sentenza della Corte di Giustizia del 25 giugno 2015, resa nella causa C-187/14 “DSV Road” con la quale la Corte ha negato il diritto alla detrazione dell’IVA ad un trasportatore resosi responsabile del pagamento dell’IVA in dogana a seguito di una non corretta procedura di transito oppure il filone giurisprudenziale (tra tutte si veda l’ordinanza della Corte di Giustizia nella causa C-621/19 del 2020) relativo all’indetraibilità dell’IVA all’importazione quando l’importatore non è il proprietario dei beni importati.

La questione resta aperta

In conclusione, la questione rimane purtroppo aperta. Sebbene infatti la Corte di Giustizia UE europea e la Corte di Cassazione abbiano ormai raggiunto un indirizzo ben saldo che, anche nell’ottica della salvaguardia della neutralità dell’IVA, esclude la responsabilità del rappresentante indiretto, l’Agenzia delle Dogane, a quanto consta, rimane “disallineata” e basa la propria tesi su alcune decisioni della giurisprudenza di merito (cfr. Corte di Giustizia tributaria di primo grado Venezia, Sez. III, Sent., 03/02/2023, n. 39).

Urge dunque un “adeguamento” da parte dell’Amministrazione finanziaria che dovrà auspicabilmente uniformarsi all’ormai consolidato filone di giurisprudenza euro-nazionale.

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