Residenza fiscale: sui criteri di radicamento lo smart working non ha alcun impatto

Con la circolare 18 agosto 2023, n. 25/E l’Agenzia delle Entrate ha confermato che, al fine di individuare la residenza fiscale dei lavoratori in smart working, trovano applicazione i criteri indicati negli articoli 2 e 3 TUIR. Infatti, a parere dell’Agenzia, i criteri di radicamento della residenza fiscale delle persone fisiche restano quelli previsti dall’art. 2 e non subiscono alcun mutamento per coloro che svolgono un’attività lavorativa in smart working.

Inoltre, nello stesso documento di prassi l’Agenzia conferma che l’uscita della Svizzera dalla black list ha effetto dal periodo d’imposta 2024.

Smart working e residenza fiscale: esemplificazioni

Un cittadino straniero, non iscritto nell’anagrafe della popolazione residente, che lavora dall’Italia in smart working per un datore di lavoro estero, permanendo per la maggior parte dell’anno solare presso un’abitazione ubicata nel nostro Stato unitamente al coniuge e ai figli deve essere considerato residente in Italia: per la maggior parte del periodo d’imposta, ha mantenuto stabilmente nel territorio dello Stato la sede principale dei suoi rapporti personali e affettivi (familiari) e la sua dimora abituale.

Una cittadina italiana che si è trasferita all’estero, dove svolge un’attività lavorativa in smart working, e ha mantenuto l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta deve essere considerata residente fiscalmente in Italia. Infatti, anche qualora la stessa avesse trasferito all’estero il suo domicilio e la sua dimora abituale, continuerà a qualificarsi come residente in Italia in ragione del requisito anagrafico, per cui dovrà sottoporre a tassazione tutti i suoi redditi nello Stato italiano, salvo il disposto convenzionale.

Analogamente, il cittadino italiano iscritto all’AIRE per la maggior parte del periodo di imposta, che abbia sottoscritto un contratto di lavoro con un datore estero nel quale sia indicata come sede ordinaria di lavoro il Paese risultante dall’iscrizione all’AIRE (o altro Stato estero), potrà considerarsi fiscalmente residente in Italia qualora vi mantenga la dimora abituale, dalla quale svolga la prestazione lavorativa con modalità agile. Tali principi sono stati coerentemente applicati nella prassi più recente, maturata a seguito dell’emergenza pandemica.

Alla luce di quanto detto, pertanto, a fronte dell’incremento, negli ultimi anni, dell’impiego di forme di lavoro definite “agili”, che ha coinvolto imprese, professionisti e comparto pubblico, non sono state apportate modifiche alla normativa interna che abbiano inciso sulle regole di determinazione della residenza delle persone fisiche a fini fiscali. Quindi, continuano a trovare applicazione le disposizioni di cui all’art. 2 TUIR e, al riguardo, nessuna valenza rettificativa va ascritta alla modalità con la quale viene prestata l’attività lavorativa (lavoro da remoto o smart working). Tale assunto rileva anche ai fini dell’applicazione dei regimi agevolativi rivolti alle persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia per svolgere un’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano, disciplinati dall’art. 16, D.Lgs. n. 147/2015 (c.d. regime speciale per lavoratori impatriati) nonché dall’art. 44, D.L. n. 78/2010 (regime speciale per docenti e ricercatori).

A tal riguardo, l’Agenzia ha ribadito che l’agevolazione non è preclusa a coloro che trasferiscono la propria residenza in Italia, pur continuando a lavorare in smart working alle dipendenze di un datore di lavoro estero.

Contrasto al fenomeno dei trasferimenti fittizi di residenza

Inoltre, al fine di contrastare il fenomeno dei trasferimenti fittizi di residenza all’estero, l’Agenzia ha precisato che il dato formale dell’iscrizione all’AIRE e la circostanza di prestare l’attività lavorativa parzialmente o integralmente da remoto per un soggetto estero non sono di per sé elementi sufficienti a escludere la residenza fiscale in Italia qualora, da una valutazione complessiva dei rapporti economici, patrimoniali e affettivi, risultino integrati i criteri di individuazione della residenza fiscale nel territorio dello Stato.

L’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni

Con riferimento all’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni, nella circolare n. 25/E/2023 viene precisato che l’art. 15 del modello OCSE, sostanzialmente recepito nelle convenzioni negoziate dall’Italia, prevede la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del contribuente, salvo che l’attività lavorativa venga svolta nell’altro Stato contraente, nel qual caso l’imposizione è concorrente in entrambi i Paesi.
In coerenza con l’art. 23, comma 1, lettera c), TUIR, che considera prodotti in Italia “i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato”, anche la disposizione convenzionale prevede che il lavoro dipendente si considera svolto nel luogo in cui il lavoratore è fisicamente presente quando svolge la prestazione per cui è remunerato, a prescindere dalla circostanza che la manifestazione di tale lavoro abbia effetti nell’altro Stato contraente.

Lavoratori frontalieri: nuovo accordo Italia-Svizzera

In merito alla decorrenza dell’eliminazione della Confederazione Elvetica dalla black list, l’Agenzia ha confermato che, ai fini della presunzione di residenza, gli effetti decorrono dal periodo d’imposta 2024.

Restano, tuttavia, fermi gli effetti di ogni attività di accertamento effettuata in conformità alle disposizioni dell’ordinamento nazionale applicabili fino al periodo d’imposta 2023.

Ad esempio

Il cittadino italiano che nel 2023 dovesse cancellarsi dall’anagrafe della popolazione residente e trasferirsi in Svizzera, continuerà ad essere considerato – salvo prova contraria – fiscalmente residente in Italia per tale periodo d’imposta ai sensi della normativa interna, trovando applicazione il disposto di cui all’art. 2, comma 2-bis, TUIR.
Infine, si esamina anche la presunzione di cui all’art. 12, comma 2, D.L. n. 78/2009, secondo il quale gli investimenti non indicati nel quadro RW si presumono redditi non dichiarati in Italia quando lo Stato estero interessato risulta inserito nella black list. A tal riguardo, viene precisato che le attività di natura finanziaria e gli investimenti che dovessero essere detenuti in Svizzera nel corso del 2023, in violazione degli obblighi del monitoraggio fiscale ex art. 4, D.L. n. 167/1990, continuano a presumersi, salvo prova contraria a carico del contribuente, costituite mediante redditi sottratti a tassazione in Italia. in tale ipotesi, i termini per la notifica dei relativi atti di accertamento e sanzionatori sono peraltro raddoppiati.

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