Riforma del sistema sanzionatorio. Cosa cambia per l’efficacia delle sentenze penali nel processo tributario?

Nel Consiglio dei Ministri del 24 maggio 2024, è stato approvato il decreto legislativo che riforma il sistema sanzionatorio tributario e penale. Tante sono le innovazioni, che dovranno ancora essere oggetto di meditata considerazione. Fra tutte, spicca in limine l’introduzione, nel D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, di un nuovo art. 21-bis recante in rubrica “efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione”, composto di tre commi.

Nel primo comma si dice, testualmente, che “la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi”

La formulazione letterale della disposizione non sembra perfettamente calibrata. In quanto, a tacer d’altro, si riferisce anzitutto alla sola sentenza irrevocabilmente assolutoria, senza considerare la sentenza irrevocabilmente condannatoria. In secondo luogo, perché, non vi si fa esplicito riferimento all’art. 654 c.p.p., che non sembra, in effetti, essere stato oggetto di confronto parametrico, pur non essendo stato quest’ultimo disposto normativo abrogato e, quindi, tuttora vigente accanto al novellato art. 21-bis,\ D.Lgs. n. 74/2000. Infine, sul piano teorico, appare discutibile la prospettata relazione tra processo tributario e giudizio penale in termini di estensione di giudicati, posto che, in ogni caso, diverso è l’oggetto del processo tributario, e tale resta, intrinsecamente, rispetto all’oggetto del processo penale.

A parte siffatte annotazioni specifiche, resta comunque ben ferma e assai significativa, la forza innovativa e l’importanza della sostanza nomopoietica della voluntas legislativa. L’espressamente statuita efficacia di giudicato della pronuncia irrevocabile resa nel giudizio penale su quello tributario, quand’anche discutibile a livello teorico, esprime in concreto una voluntas legis incontrovertibilmente chiara in senso “abrogativo” dell’ormai frusto stereotipo del c.d. doppio binario e impone al giudice tributario di tener conto della sentenza penale pronunciata in seguito a dibattimento quanto ai medesimi fatti materiali oggetto di accertamento e di valutazione nell’uno e nell’altro processo; non solo nel senso che il giudice tributario non potrà più legittimamente arbitrarsi dal non considerarli unquanche, ma pure nel senso nemmeno potrà solo limitarsi a valutarli liberamente, dovendo, invece, assumerli a base dell’emananda decisione, salvo naturalmente l’operatività in iure di specifici vincoli decisori che ne impongano ex lege una diversificata considerazione a livello istruttorio (e così, ad es., facendo salve, per il solo processo penale l’inapplicabilità delle presunzioni legali, assolute o relative, che, viceversa, vincolano e continuano a vincolare le decisioni del giudice tributario).

Nel secondo comma, si dice che “la sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio”. Trattasi, a quanto consta, di un vero e proprio unicum normativo. A dir vero, piuttosto “stravagante” o extra ordinem, rispetto alla disciplina dei termini attualmente previsti dal codice di procedura civile (v., infatti, gli articoli 366, 372, 378, 380-bis c.p.c.) richiamate dall’art. 62, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992; e, tuttavia, sicuramente opportuno ed incisivo, per eliminare ab ovo dubbi astrattamente prefigurabili o incertezze applicative inevitabili. Di cui, anzi, occorre tener conto anche per favorire l’allentamento delle anguste maglie dell’attuale art. 58 del D.Lgs. n. 546/1992, non potendosi certamente ammettere che il giudicato penale sia depositabile in Cassazione, ma, viceversa, precluso nell’ambito del giudizio d’appello!

Nel terzo comma dell’art. 21-bis, si precisa, infine che “le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e (rectius: o) società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati”. L’allargamento dei limiti soggettivi è senza dubbio condivisibile, anche se dovranno farsi opportuni approfondimenti a livello interpretativo. Non si spiega, invece, l’espressa circoscrizione del precetto normativo alla sola ipotesi di “sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste”, lasciando fuori, tra l’altro, financo la formula terminativa specifica “per non aver commesso il fatto”.

Al di là di queste o altre criticità, del resto difficilmente scongiurabili nella sintetica enunciazione della formula legislativa, trattasi di un “varco” ormai opportunamente aperto a nuove esperienze teoretico-applicative d’indubbio interesse, per i Lettori e per tutto l’ampio stuolo dei cc.dd. operatori del processo tributario e penale.

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