Site icon Commercialista Verona, Studio Consulenza Finanziaria e Amministrativa

Riforma della giustizia tributaria. Basta con le “normicciuole” sulle liti minori

Riforma Della Giustizia Tributaria
Con l’art. 40 del D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, si è fatta l’ennesima modifica all’art. 4-bis, comma 1, primo periodo, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, introdotto dall’art. 4, comma 1, lett. b), della legge n. 130/2022, sostituendo alle parole “3.000 euro” le parole “5.000 euro” e stabilendo, infine, che “la disposizione del primo periodo varrà per i ricorsi notificati a decorrere dal 1° luglio 2023”.

Occorre dire “basta” a questo continuo proliferare di normicciuole, controproducenti e insensate, per le cosiddette liti “bagatellari” o “minori” del processo tributario!

Un’apposita disciplina per questa tipologia di liti, di assai modesto valore, per le quali neppure sussiste l’obbligo del patrocinio, ha senso solo se questa disciplina è più spedita e più semplice di quella generalmente prevista per tutte le altre liti tributarie, così da facilitarne lo svolgimento da parte dei soggetti ai quali si applica e realizzare al contempo una reale deflazione del contenzioso in generale.

Detto questo, vale ora le pena fare un po’ di storia normativa.

Il D.Lgs. n. 546/1992 prevedeva, e tuttora prevede, all’art. 12, comma 2, che “per le controversie di valore fino a tremila euro le parti possono stare in giudizio senza assistenza tecnica”, con la precisazione che “per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato”; e con l’ulteriore specificazione che, “in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”. Per queste controversie non era invece prevista alcuna deroga, sia quanto alle normali regole di competenza ratione materiae, senz’alcun limite di valore, e sia quanto alla composizione dell’organo decidente, sempre collegiale.
L’idea, nient’affatto felice, d’introdurre per il processo tributario ex D.Lgs. n. 546/1992 un vulnus derogatorio con limiti di competenza ratione valoris fu fatta solo ad opera dell’art. 9, comma 1, lett. ii), n. 3 del D.Lgs. n. 156/2015, che, aggiungendo il comma 10 bis all’art. 70, dispose, con effetto dal 1° gennaio 2016, che nei giudizi d’ottemperanza “per il pagamento di somme dell’importo fino a ventimila euro e comunque per il pagamento delle spese di giudizio, il ricorso è deciso dalla Commissione in composizione monocratica”. La novità, peraltro di nicchia, e di ben scarso peso, comunque non apportò alcun giovamento, né alla semplificazione del rito, né alla deflazione del contenzioso, creando, invece, complicazioni applicative, per l’incerta definizione dell’ambito delle liti così contornate e per le conseguenze derivanti dalla sua violazione, suscettibili di essere fatte valere solo mediante ricorso in cassazione nei circoscritti margini previsti dall’art. 70, comma 10, D.Lgs. cit.
Nonostante questo infelicissimo esordio, i successivi nostri maldestri tesmoteti tornarono alla carica, con l’art. 2, lett. a), del DDL n. 2636 del 1° giugno 2022, prevedendo che le controversie “fino a tremila euro” escluse quelle “di valore indeterminabile”, dovessero decidersi “in composizione monocratica” da parte delle commissioni provinciali, con l’ulteriore disposizione, contenuta nella lett. f), secondo la quale, in deroga all’art. 52, comma 1, “la sentenza della commissione provinciale pronunciata dal giudice monocratico di cui all’articolo 4-bis può essere appellata esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, nonché per violazione di norme costituzionali o di diritto dell’Unione europea, ovvero dei principi regolatori della materia”, ferma l’inapplicabilità di questa disposizione “alle controversie riguardanti le risorse proprie tradizionali previste dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione n. 2020/2053/UE, Euratom del Consiglio del 14 dicembre 2020, e l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione”.
Questa “sciagurata” disciplina sugli appelli avverso le sentenze delle Commissioni tributarie provinciali in composizione monocratica venne fortunatamente accantonata con la legge n. 130/2022, dove, però, è purtroppo rimasta l’introduzione dell’art. 4-bis nel D.Lgs. n. 546/1992, ove, sotto la rubrica “Competenza del giudice monocratico”, si è detto, al 1° comma, che “le corti di giustizia tributaria di primo grado decidono in composizione monocratica le controversie di valore fino a 3000 euro. Sono escluse le controversie di valore indeterminabile”, mentre, nel comma 2, si è scritto che “per valore della lite si intende quello determinato ai sensi dell’articolo 12, comma 2” e “si tiene conto anche dell’importo virtuale calcolato a seguito delle rettifiche di perdite”, ampliandosi così l’ambito delle liti per le quali è stata prevista la competenza del giudice tributario monocratico, rendendolo per di più difficilmente individuabile, specie da soggetti non abilitati alla difesa tecnica obbligatoria, dovendosi il valore della controversia parametrare all’ammontare dell’imposta virtuale calcolata con riferimento alle rettifiche di perdite.
In un primo tempo questa disciplina, ex art. 8 legge n. 130/2022 venne riservata ai soli “ricorsi notificati a decorrere dal 1° gennaio 2023”. Successivamente, questa data è stata spostata in avanti ed ora, con il D.L. n. 13/2023, per l’appunto, si è passati al 1° luglio 2023.

Tutte queste proroghe sono il segno evidente di una ben scarsa disponibilità ricettiva di siffatta nuova disciplina da parte delle nuove Corti di giustizia tributaria, che trova piena giustificazione nella manifesta inidoneità della stessa a costituire una regolamentazione funzionalmente adeguata alle liti minori o bagatellari, che dir si voglia.

In tale situazione, nel dire davvero basta a questo fastidioso proliferare di normicciuole controproducenti ed insensate, per parte di chi scrive, non resta allora che rimarcare, ancora una volta, la necessità di un approccio tutt’affatto diverso, già ripetutamente prospettato anche in sede istituzionale. Sostenendo, anzitutto, che l’ambito delle liti minori o bagatellari dev’essere di bel nuovo appropriatamente ridisegnato, ricomprendendovi tutte le liti di valore non superiore ai 50 mila euro, e magari anche le liti catastali e i giudizi di ottemperanza. Non prevedendosi, poi, per questa categoria di liti, non già una diversa competenza da parte di un giudice monocratico, ma prevedendosi, invece, senza dar luogo a problemi di competenza, il solo affidamento, internamente ad ogni corte di giustizia tributaria di 1° grado, ad uno dei suoi componenti, il compito lato sensu di “giudice pace tributario”, deputato a svolgere una funzione di composizione conciliativa della relativa trattazione, avvalendosi se del caso anche di circoscritto rinvio per consentire alle parti di addivenire all’accordo. Prevedendosi, infine, che: a) in caso di raggiunta conciliazione, la causa venga definita con sottoscrizione del relativo verbale e successiva declaratoria di cessazione della materia del contendere; b) in caso di non intervenuta conciliazione, la causa venga comunque decisa, come di rito, dallo stesso giudice tributario “di pace” con sentenza, non appellabile alla Corte di giustizia di 2° grado, ma reclamabile entro trenta giorni davanti al Collegio a cui appartiene il giudice che ha pronunciato la sentenza; c) la quale sentenza collegiale sarebbe soltanto impugnabile per cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Con questa disciplina, a regime, si è calcolato che il carico dei giudizi di cassazione verrebbe a ridursi fisiologicamente di oltre l’80%.

Se così non si fa, finita la “sbornia” delle tregue sulle liti pendenti, nel giro di pochi anni si torna all’attuale carico dei 50 mila ricorsi e così alla totale paralisi del terzo grado.

Di questi tempi, si assiste ad una gran smania d’inutili convegni e di mirabolanti riforme. Sarà! Ma se non si procede come s’è detto e se si continua a sfornare norme come quelle sopra criticate non si arriverà da nessuna parte.

La presente, da parte di chi scrive, vuole essere una vera e propria lettera aperta a chi di dovere, a scanso d’ignoranza e per scrupolo di scienza e coscienza, come si suol dire. Ricordando, in proposito, la notissima (almeno, si spera) favoletta di Fedro, che, comunque, si riporta in originale (potendo chi non conosce il latino leggerne l’integrale facilissima traduzione via internet): Mons parturibat, gemitus inmanes ciens. Eratque in terris maxima expectatio quod ille pareret. At ille (il monte) murem peperit (partorì un topolino)! Hoc scriptum est tibi, qui, magna cum minaris, extricas nihil. Valga da monito, pur auspicando che non accada, naturalmente!

Copyright © – Riproduzione riservata

Fonte

Exit mobile version