Riforma delle sanzioni tributarie: tante ambizioni, qualche limite. In attesa dell’effettiva applicazione

Il decreto legislativo sulle sanzioni tributarie ambisce, soprattutto dopo le limature dell’originaria bozza, a realizzare una razionale sistematizzazione della materia ed un migliore coordinamento con la normativa penal tributaria. Per verificare se ci sarà riuscito, occorrerà un congruo periodo di attento monitoraggio dell’applicazione che ne verrà fatta sia da parte degli uffici finanziari che della giustizia tributaria e penale. Questo contributo si limiterà, perciò, ad alcuni aspetti di maggior rilievo.
La prima innovazione legislativa, la più appariscente (e politicamente più caratterizzante e attesa), è quella che ha ridimensionato la misura (percentuale) delle sanzioni di più diffusa irrogazione. Si è enfatizzato, in tal modo, soprattutto il principio di proporzionalità delle sanzioni meglio correlandolo, almeno in astratto, alla natura e gravità delle violazioni. La scelta della misura percentuale fissa delle sanzioni appare, però, in contrasto col disposto dell’art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 472/1997 che prevede che per determinare l’entità della sanzione si debba valutare la “gravità” della violazione desunta anche dalla condotta dell’agente; il che escluderebbe una sanzione con percentuale fissa. Incoerenza che può ritenersi superata solo nella parte in cui è prevista una graduazione (dell’aumento) della sanzione fino al doppio (finora è stata la metà) in caso di recidiva. Questo intervallo appare però molto ampio in relazione all’unica fattispecie prevista dalla legge (art. 7, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997), tanto da potersi rilevare una certa sperequazione della maggiorazione stessa. Continuerà ad essere difficile (e discrezionale) l’individuazione delle circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra sanzione applicabile e la violazione. Così come la genericità della norma lascia aperti spazi per discrezionalità eccessive nella sua applicazione e ne rendono incerta la sua sorte. L’art. 7 citato avrebbe meritato perciò una più attenta e coerente riformulazione.

Più qualificata ed innovativa è la seconda innovazione normativa. È quella relativa alla revisione della disciplina, attesa da anni (decenni), che riguarda la relazione tra le sanzioni di natura penale e quelle tributarie che hanno il loro presupposto nella stessa violazione fondata sui medesimi fatti materiali (come ad es. l’omessa fatturazione di operazioni attive sopra la soglia di punibilità o ancora l’utilizzazione di fatture passive in tutto o parte relative ad operazioni inesistenti o che addebitano costi indiscutibilmente non inerenti). A parte l’atavico richiamo, non solo dottrinario, del divieto del no bis in idem delle sanzioni, da tempo era matura una rivisitazione coordinata delle due tipologie di sanzioni che riguardano la stessa violazione. Una delicata manovra è stata perciò compiuta per cercare di evitare il rischio che sugli stessi fatti presupposto si formassero antitetiche pronunce, nella giurisdizione penale ed in quella tributaria, frutto della sacralità del principio dell’indipendenza dei giudizi.

Già nell’immediato, però, occorrerà affrontare una problematica di diritto transitorio dovuta ad una evidente discrasia, qualora si verifichi la duplice rilevanza delle violazioni ai fini penali ed a quelli tributari. Si fa riferimento all’immediata entrata in vigore delle innovazioni legislative in ambito penale, in cui la norma sopravvenuta più favorevole si estende anche alle violazioni anteriori (favor rei). Per le sanzioni tributarie, invece, la novella disciplina sarà applicabile per le violazioni commesse dal 1° settembre prossimo e non avrà effetti retroattivi. Le discriminazioni sulla retroattività, a seconda che le sanzioni applicabili siano penali o tributarie, sono di difficile comprensione e non possono certo essere giustificate, come è emerso candidamente, con esigenze di gettito che sia stato già compreso nel bilancio. In ogni caso, l’applicazione del principio di specialità, per il quale il giudice o l’Amministrazione finanziaria devono tener conto, allorché determinano la sanzione di pertinenza, di quelle già comminate con atto definitivo, presenta delle criticità quando vengono sanzionate le condotte delle società/enti ai quali si applica la disciplina di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001. Infatti, se permarrà l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che spesso non rileva l’identità tra gli illeciti (penali e amministrativi/tributari), questo principio rischia di essere in concreto inapplicato.

La terza rilevante innovazione riguarda l’efficacia che potranno avere nel processo tributario le sentenze penali definitive di assoluzione (per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste), pronunciate a seguito di dibattimento. Sono perciò escluse le assoluzioni pronunciate in altri riti (giudizio abbreviato, archiviazioni o altre pronunce del Gup). Non se ne comprende tuttavia la ragione nei casi in cui la sentenza viene emanata in sede di udienza preliminare nella quale si accerta anche che i fatti posti a fondamento dell’accusa non sussistono o non sono stati commessi dall’indagato. È un’evidente discriminazione che potrebbe indurre gli indagati a scelte processuali (ad es. rinuncia all’udienza preliminare) volte ad ottenere una sentenza dibattimentale, in tal modo distorcendo la neutralità di comportamenti processuali. Vale ovviamente anche l’ipotesi opposta, di utilizzo in sede penale delle sentenze tributarie definitive. In entrambi i casi l’effettiva utilizzazione delle sentenze nell’altro processo dipenderà dalla tempistica della loro conclusione. L’innovazione è comunque positiva pur nell’alea se si formerà o no il giudicato in tempo utile per poterlo “spendere” nell’altro processo. Ma c’è consapevolezza dell’irrazionalità dell’alternativa della sospensione di uno dei due processi (la c.d. pregiudizialità tributaria), vigente molti anni or sono e rapidamente abrogata.

Di rilievo è anche il quarto ordine di innovazione con cui il decreto ha cercato di risolvere le incertezze applicative di alcune qualificazioni giuridiche di fatti in base ai quali si ritiene o no verificata una violazione fiscale. Ci si riferisce in particolare alla distinzione tra crediti d’imposta inesistenti e quelli indebiti, motivo ormai da tempo di verbose discussioni dottrinarie, di robusti contenzioni e di continui contrasti giurisprudenziali.

Non è questa la sede per una adeguata disamina di tali tematiche sulle qualificazioni giuridiche dei crediti inesistenti e di quelli non spettanti risultanti dalla novella normativa. Ci si limita qui a rimarcare la necessità che la norma non si presti ad ambiguità interpretative nelle ipotesi di mancanza parziale dei requisiti, con specifico riferimento ai crediti d’imposta per spese di ricerca e sviluppo, delle quali negli ultimi anni è stato contestato, ad es., il requisito della novità, che non risultava adeguatamente definito per evitare ogni possibile dubbio. I contributi dottrinari e della giurisprudenza potranno meglio definire le fattispecie che si configureranno come violazioni ed il loro concreto atteggiarsi. C’è però da attendersi una applicazione rigorosa delle nuove disposizioni, perché considerate di natura agevolativa e, quindi, di stretta interpretazione, che potrebbero essere ritenute ancora non sufficienti per evitare possibili assunzioni di posizioni rigide da parte dell’amministrazione finanziaria.

Lodevole è la quinta innovazione introdotta dal decreto nella parte in cui intende conseguire semplificazioni e/o ragionevoli moderazioni applicative. È il caso della sanzione unica (cumulo giuridico), che tuttavia non si applica alle violazioni relative alla riscossione e all’indebita compensazione. Essa si riferisce a tutte le violazioni ravvedibili, sia per l’ipotesi di concorso che di progressione, facendo riferimento alla data della prima violazione ai fini della gradazione delle riduzioni a seconda del tempo di ravvedimento. Un eguale apprezzamento positivo riguarda l’esclusione, nel caso di omesso versamento delle ritenute e IVA, del sequestro finalizzato alla confisca se le imposte sono in corso di rateazione. Altrettanto vale per la novellata previsione di non punibilità in caso di crisi di liquidità non transitoria che sia emersa successivamente alle ritenute fiscali o all’incasso dell’IVA, quando tale carenza dipenda da inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi e per il mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche, così come rileva la non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi. Si tratta di evidenti situazioni in cui il comportamento del contribuente, che implica una violazione per omissione di versamenti di tributi, è da imputare non alla volontà di costui, ma ad eventi esterni che hanno impedito il conseguimento della liquidità necessaria per eseguire i versamenti omessi ovvero di ipotesi in cui non è (più) ravvisabile un’omissione se viene concessa una rateizzazione che è in corso di regolare adempimento.

Oltre agli spunti di riflessione innanzi delineati debbono essere considerati altri aspetti critici, come ad es. l’applicazione della normativa sanzionatoria ai tributi degli enti locali.

Ma lo spazio è finito!

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