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Riforma sanzioni: la revisione dell’autofattura denuncia tra luci e ombre

Riforma Sanzioni: La Revisione Dell’autofattura Denuncia Tra Luci E Ombre
Lo schema di decreto di riforma delle sanzioni (atto Governo 144 di cui allo schema approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri del 21 febbraio) contempla, tra le varie misure, la modifica dell’attuale disciplina dell’autofattura denuncia di cui all’art. 6, comma 8, D.Lgs. n. 471/1997 (art. 2, comma 1, lettera d, n. 7 dello schema).
Uno dei casi (non certo l’unico) in cui il cessionario/committente si trova nella situazione di dover valutare l’applicazione dell’art. 6, comma 8, D.Lgs. n. 471/1997 è quello del ricevimento, dal proprio fornitore, di una fattura in sospensione d’imposta ex art. 8, comma 1, lettera c), D.P.R. n. 633/1972 per importo eccedente la dichiarazione d’intento emessa ovvero dello “sforamento” della dichiarazione d’intento (da non confondere con la diversa ipotesi dello splafonamento dell’esportatore abituale).

Usiamo questo caso come esempio per analizzare i cambiamenti in arrivo.

La nuova formulazione della norma

La norma riformulata dallo schema citato (art. 2 comma 1, lettera d, n. 7, cit.) e che dovrebbe diventare efficace per le violazioni commesse a partire dal 30 aprile 2024 (art. 5), dispone quanto segue:

«8. Il cessionario o il committente che, nell’esercizio di imprese, arti o professioni, abbia acquistato beni o servizi senza che sia stata emessa fattura nei termini di legge o con emissione di fattura irregolare da parte dell’altro contraente, è punito, salva la responsabilità del cedente o del commissionario, con sanzione amministrativa pari al settanta per cento dell’imposta, con un minimo di euro 250, sempreché non provveda a comunicare l’omissione o l’irregolarità all’Agenzia delle entrate, tramite gli strumenti messi a disposizione dalla medesima, entro la fine del mese successivo a quello in cui doveva essere emessa la fattura o è stata emessa la fattura irregolare. È escluso l’obbligo di controllare e sindacare le valutazioni giuridiche compiute dall’emittente della fattura o di altro documento, riferite ai titoli di non imponibilità, esenzione o esclusione dall’imposta sul valore aggiunto derivati da un requisito soggettivo del predetto emittente non direttamente verificabile.»

L’eliminazione del rischio di duplicazione d’imposta

Un primo elemento positivo rispetto alla disciplina attuale riguarda l’eliminazione, tanto per l’ipotesi di fattura omessa (lettera a del comma 8 vigente) quanto di fattura irregolare (lettera b del comma 8, cit.), dell’onere del cessionario/committente di accompagnare l’autofattura denuncia (TD20) con il versamento dell’IVA (codice tributo 9399), ferma restando (ultimo periodo comma 9-bis) l’esclusione di detto versamento nel caso di operazioni in reverse charge. Il nuovo comma 8 non contemplerà più, infatti, tale previsione e, per coerenza sistematica, è prevista anche l’eliminazione del comma 9 che (attualmente) contempla, se la regolarizzazione è stata eseguita, la registrazione dell’autofattura “ai sensi dell’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633” ovvero nel registro acquisti ai fini del recupero dell’IVA versata del cessionario/committente denunciante.

Questa modifica è assolutamente positiva poiché elimina alla radice il rischio di duplicazione d’imposta. Vediamo perché, analizzando il caso (tutt’altro che raro) della fattura emessa in sospensione art. 8/c oltre il plafond assegnato nella dichiarazione d’intento.

In base alla normativa attuale, quando il cessionario/committente riceve una “fattura irregolare” (è irregolare, come indicato nella C.M. 23/E/99 cap. II § 2.7, una fattura recante un’imponibile oppure un’imposta inferiore al dovuto) dovrebbe attivare l’autofattura denuncia (TD20) entro 30 giorni dall’annotazione delle stessa (oppure dallo spirare dei 4 mesi nel caso di fattura non emessa) e versare, entro il termine medesimo, l’imposta erroneamente non applicata dal fornitore fermo restando il diritto, come detto, di detrarre l’imposta (auto)assolta.

Tutto ciò, come dice espressamente la norma, “salva la responsabilità del cedente o del commissionario” (aspetto che rimane confermato anche dopo la novella). A prescindere dalla regolarizzazione effettuata o meno dal cessionario/committente, il fornitore rimane, quindi, comunque obbligato, verso l’Erario, tanto per il debito IVA quanto per le relative sanzioni (sanzioni che, nel caso in analisi, verranno ridotte al 70% rispetto all’attuale 100% ovvero al 70%, con minimo di 300 euro, in luogo della misura variabile dal 90 al 180% con minimo di 500 euro, negli altri casi di operazioni imponibili).

A tal riguardo va ricordato, infatti, che la disciplina dell’autofattura denuncia ha la finalità di “consentire al cessionario di sottarsi al pagamento della sanzione nel caso in cui il cedente non abbia provveduto all’emissione della fattura e, quindi, a versare l’IVA, ma non comporta alcuno spostamento della soggettività passiva […] sicché il pagamento dallo stesso compiuto non ha finalità estintiva dell’obbligazione tributaria gravante sul cedente” (Cass. 12146/2021); detta regolarizzazione, in altri termini, serve esclusivamente ad evitare una autonoma e separata sanzioni prevista per l’omessa “vigilanza” del cessionario/committente fermo restando che, in caso di omessa regolarizzazione, non è prevista (a differenza dell’art. 41, comma 6, D.P.R. n. 633/1972 abrogato il 1° aprile 1998) il recupero d’imposta nei suoi riguardi (C.M. n. 23/E/1999).
Fatte queste considerazioni è evidente quindi che quando il fornitore si “accorge” della violazione – tanto più se si accorge del TD20 denuncia inviato all’Agenzia delle Entrate dal proprio cliente – correrà ai ripari emettendo nota di debito dell’IVA esercitando così, a pieno titolo, il diritto di rivalsa e concretizzando un’imbarazzante situazione, in capo al cessionario che si trova a dover pagare al fornitore un’IVA che ha già (auto) assolto e detratto tramite l’autofattura. L’imbarazzo deriva dal fatto che è tutt’altro che pacifico che l’Agenzia delle Entrate riconosca la doppia detrazione sulla medesima operazione con la conseguenza – per il cessionario – di dover attivare un’istanza di rimborso ex art. 30-ter, D.P.R. n. 633/1973 (in tal senso, pur con riferimento a un caso diverso, depone la recente risposta a interpello n. 20 del 2024).

L’eliminazione della via di fuga

È appena il caso di osservare che, a normativa attualmente vigente, l’imbarazzo sopra descritto è tuttavia agevolmente governabile – ed evitabile – dal cessionario/committente accorto che segue la seguente procedura:

(i) parcheggia la fattura irregolare ricevuta senza annotarla nel registro acquisti evitando, quindi, di far decorrere i 30 giorni che il comma 8, lettera b) attuale computa dall’annotazione (a tal riguardo è appena il caso di ricordare come, nelle operazioni diverse da quelle in reverse charge, non è più previsto – da tempo memore – un termine fisso entro il quale effettuare l’annotazione che l’articolo 25 impone, più semplicemente, “anteriormente alla liquidazione periodica nella quale è esercitato il diritto alla detrazione della relativa imposta e comunque entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno di ricezione della fattura e con riferimento al medesimo anno”);

(ii) chiede al fornitore la nota di debito a rettifica della fattura irregolare;

(iii) annota l’operazione solo una volta ricevuti i documenti regolarizzati dal fornitore senza che scatti, pertanto, l’obbligo dell’autofattura denuncia.

Tutto bello, ma fra pochi giorni (salvo sorprendenti cambi di rotta) rimarrà solo un ricordo. Si noti, infatti, che il comma 8, nella versione riformulato dallo schema di decreto in analisi, non contempla più alcun termine decorrente da qualsivoglia annotazione della fattura irregolare.

I nuovi termini (troppo stringenti) per evitare la sanzione

Passiamo dunque alle note dolenti.

La novella, com’è possibile osservare, prevede il disinnesco delle sanzioni (nella nuova misura ridotta – se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno – al 70%) solo a condizione che il cessionario committente “provveda a comunicare l’omissione o l’irregolarità all’Agenzia delle Entrate, tramite gli strumenti messi a disposizione dalla medesima, entro la fine del mese successivo a quello in cui doveva essere emessa la fattura o è stata emessa la fattura irregolare”.

Al netto della necessità di capire se per le violazioni dal 30 aprile 2024 la procedura rimarrà ancorata all’attuale TD20 (e quindi, via SdI, tramite la fatturazione elettronica) oppure se sarà introdotta una nuova procedura, almeno le seguenti cose risultano subito evidenti:

(i) nel caso di fattura omessa, i nuovi termini sono estremamente ristretti rispetto agli attuali 30 giorni dallo spirare dei 4 mesi dall’effettuazione dell’operazione;

(ii) nel caso sopra citato, non è agevole (salvo ipotizzare il ricorso a doti chiaroveggenti) conoscere se il fornitore può disporre di termini ordinari vuoi immediati (TD01) piuttosto che, in presenza di idonea documentazione, differiti (TD24 ) oppure super differiti (TD25) ovvero coincidenti con la fine del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione (si considerino, ad esempio, le ipotesi disciplinate dal D.M. 18 novembre 1976 piuttosto che la tempistica fruibile – ex art. 21, comma 4, lettera b – dal promotore di una triangolare nazionale);

(iii) nel caso di fattura emessa ma irregolare, i nuovi termini non decorrono dalla ricezione della fattura stessa (dato noto) ma dalla data della sua emissione (rectius trasmissione) che (ad essere pignoli) il cessionario/committente può solo essere solo in grado di “stimare”, ma non conosce con precisione.

Al netto del ragionevole auspicio che la comunicazione non sia comunque necessaria laddove la violazione sia rimossa dal fornitore stesso prima dello spirare del nuovo termine (sul punto – se la norma non verrà corretta – una conferma dall’Agenzia delle Entrate sarà ovviamente gradita), è evidente che i termini proposti dal Governo sono ingestibili e trascurano di considerare che la stragrande maggioranza delle piccole imprese non dispone di una struttura amministrativa interna, adotta la liquidazione IVA trimestrale, e si affida a servizi in outsourcing.

Commissioni Giustizia e Finanze a favore di termini più ampi

La criticità della novellata tempistica è stata recepita nei pareri allo schema del decreto Sanzioni dalle apposite commissioni della Camera dei Deputati (che sul punto accolgono, per inciso, le osservazioni fornite da Confimi Industria nel corso dell’indagine conoscitiva). Nei pareri approvati il 10 aprile è infatti contenuto, fra gli altri, l’invito al Governo di “prevedere con riguardo all’articolo 2, comma 1, lettera d), n. 7, un termine più ampio, in ogni caso non superiore a novanta giorni, entro cui il cessionario/ committente, per non incorrere nella sanzione, deve comunicare all’Agenzia delle entrate di non aver ricevuto la fattura oppure di aver ricevuto una fattura irregolare” con l’ulteriore invito, conseguentemente, di modificare anche il termine previsto all’articolo 2, comma 1, lettera d), numero 9.4 ovvero nell’analoga previsione riguardante le operazioni in reverse charge (comma 9-bis dell’art. 6, D.Lgs. n. 471/1997).

Insindacabilità della qualificazione operata dal fornitore

Nell’auspicio di poter riscontrare un epilogo positivo nella versione del decreto che, a breve, sarà definitivamente licenziata dal Governo, chiudiamo con un’ultima osservazione legata all’introduzione nel testo stesso della novella, dell’espressa esclusione in capo al cessionario/committente dell’obbligo di controllare e sindacare le valutazioni giuridiche compiute dall’emittente la fattura, riferite ai titoli di non imponibilità, esenzione o esclusione dall’IVA “derivati da un requisito soggettivo del predetto emittente non direttamente verificabile”, con la dovuta diligenza, precisa la relazione.

Il passaggio coglie nella sostanza gli insegnamenti della Cassazione secondo cui l’obbligo di regolarizzazione in capo al concessionario o committente “non si estende anche a controlli sostanziali sulla corretta qualificazione fiscale dell’operazione” (ex plurimis Cass. n. 37255/2022; Cass. n. 13032/2021; Cass n. 14275/2020). Tale esclusione non si applica, però, alle ipotesi in cui il cessionario/committente “incida direttamente sul rapporto tributario […] come avviene nel caso dell’inversione contabile” (Cass. n. 12138/2022) ovvero “nel caso in cui egli abbia dato luogo, con le sue dichiarazioni, alla irregolarità della fatturazione” (Cass. 16767/2016). Per quest’ultimo motivo, nella nostra analisi, abbiamo utilizzato il caso dello sforamento della dichiarazione d’intento che viene rilasciata al fornitore dal cliente esportatore abituale; cliente esportatore abituale che ben conosce l’importo delle operazioni chieste in sospensione d’imposta al proprio fornitore e che – come precisato nella risoluzione n. 120/E/2016 – deve riservare particolare attenzione alla verifica dell’importo complessivamente fatturato senza IVA dal soggetto che riceve detta dichiarazione e che non deve mai eccedere quanto indicato nella dichiarazione d’intento stessa.

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