Rilevanza reddituale dell’acquisto di crediti d’imposta da bonus fiscali: in quali casi

L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la risposta a interpello n. 472 del 30 novembre 2023 in tema di acquisto di crediti d’imposta da bonus fiscali.

Per quanto riguarda la disciplina fiscale delle associazioni professionali, occorre far riferimento all’articolo 5, comma 3, lettera c), del TUIR, il quale assimila, ai fini della determinazione del reddito, le associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni alle società semplici in ragione della presenza dei medesimi elementi costitutivi.

Tale assimilazione alle società semplici comporta che le associazioni professionali non possano svolgere attività d’impresa e che il proprio reddito imponibile è costituito dalla sommatoria delle singole categorie di reddito indicate nell’articolo 6 del TUIR, identificate in ragione della loro fonte di produzione. Il reddito complessivo così determinato è imputato per trasparenza, ai sensi del medesimo articolo 5, in capo a ciascun associato.

La normativa consente ai contribuenti, che realizzano determinati interventi, di fruire di una detrazione dall’imposta lorda con modalità alternative all’utilizzo diretto in dichiarazione e, in particolare, attraverso la cessione a soggetti terzi di un credito d’imposta di pari ammontare senza prevedere alcuna disciplina in merito ad eventuali effetti reddituali in capo all’acquirente.

Già con l’introduzione di tale beneficio fiscale, il legislatore ha inteso riconoscere ai contribuenti un’agevolazione, sotto forma di detrazione dall’imposta lorda, di ammontare superiore ai costi sostenuti senza, tuttavia, prevedere alcuna rilevanza reddituale di tale differenziale positivo (pari al 10 per cento delle spese medesime).

Va, inoltre, rilevato che il legislatore ha ”puntualmente” disciplinato l’ipotesi della cessione di un credito d’imposta di ammontare pari alla detrazione spettante nonché le modalità di utilizzo di tale credito da parte del cessionario, che può utilizzarlo in compensazione ai sensi del citato articolo 17 delle proprie imposte e dei contributi dovuti, con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione.

La norma espressamente prevede che l’eventuale quota di credito d’imposta non utilizzata nell’anno non può essere usufruita negli anni successivi, e non può essere richiesta a rimborso.

Anche con riferimento a tale istituto, il legislatore non ha disposto in merito alla rilevanza reddituale del differenziale ”positivo” derivante dall’acquisto del predetto credito a un valore inferiore a quello nominale prevedendo, coerentemente, l’irrilevanza dell’eventuale differenziale ”negativo” derivante dal mancato utilizzo del credito in compensazione, atteso che non è possibile riportare ”in avanti” o chiedere il rimborso dell’eventuale quota di credito d’imposta non utilizzata in ciascun anno.

Pertanto, in assenza di una specifica disposizione in tal senso, la rilevanza reddituale di tale differenziale va ricercata in applicazione delle regole generali di tassazione del reddito.

Per quanto concerne le persone fisiche non titolari di reddito di impresa nonché le associazioni costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni occorre valutare se tale differenziale positivo rientri in una delle categorie reddituali di cui al citato articolo 6 del TUIR.

Quindi, in assenza di una espressa previsione normativa, volta ad attribuire rilevanza reddituale all’eventuale differenziale positivo tra l’importo nominale del credito e il prezzo di acquisto dello stesso, e stante la non riconducibilità di tale differenziale in una delle categorie reddituali previste dal TUIR, l’acquisto non genera, in linea di principio, reddito imponibile in capo allo Studio Associato.

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