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Rimborso dell’IVA non dovuta anche dopo la definizione agevolata

Rimborso Dell’iva Non Dovuta Anche Dopo La Definizione Agevolata
Con la risposta a interpello n. 408 del 2023, l’Agenzia delle Entrate ha fornito nuovi chiarimenti in merito alla procedura di rimborso dell’IVA non dovuta, nel caso – normativamente previsto – in cui il dies a quo slitta dal giorno del versamento dell’imposta all’Erario a quello dell’avvenuta restituzione al cliente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.

Il perimetro applicativo del rimborso dell’IVA non dovuta

L’art. 30-ter del D.P.R. n. 633/1972, aggiunto dalla legge Europea 2017, disciplina la restituzione dell’IVA non dovuta, cioè indebitamente applicata in fattura per un’operazione esente, non imponibile o non soggetta ad imposta o per un’operazione imponibile fatturata con un’aliquota superiore.
Mutuando il contenuto dell’art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, che disciplina il “rimborso anomalo”, il comma 1 del novellato art. 30-ter stabilisce che il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dal versamento della medesima ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. La disposizione recepisce, sul piano normativo, l’orientamento della Suprema Corte che esclude, ai fini in esame, l’applicazione del termine ordinario di prescrizione decennale previsto per l’indebito oggettivo, ex articoli 2033 e 2946 c.c. (Cass. n. 3627/2015 e n. 23552/2014).

Il successivo comma 2 prevede che, nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal fornitore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cliente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.

Infine, sulla scia delle indicazioni della Corte di Giustizia, il comma 3 precisa che la restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale.

Di particolare interesse, ai fini in esame, è la previsione del comma 2 dell’art. 30-ter del D.P.R. n. 633/1972, che consente al fornitore di presentare istanza di rimborso dell’IVA non dovuta anche dopo che sia scaduto il termine decadenziale biennale, agganciato al versamento all’Erario dell’imposta, se il medesimo soggetto ha provveduto a restituire alla controparte l’importo dell’imposta assolta in via di rivalsa.

Si è inteso in tal modo trasporre, a livello nazionale, il principio sancito dalla giurisprudenza comunitaria, in base al quale il diritto di rimborso deve essere riconosciuto una volta eliminato completamente il rischio di perdita di gettito (causa C-138/12, Rusedespred e causa C-111/14, GST-Sarviz).

Infatti, l’obbligo di versare l’IVA addebitata in fattura, previsto dall’art. 203 della direttiva n. 2006/112/CE, è diretto ad evitare che l’Erario, a fronte della detrazione operata dal cliente, non abbia la certezza di riscuotere l’imposta dovuta dal fornitore. Ne discende, “a contrariis”, che l’imposta versata e non dovuta deve essere rimborsata al fornitore se al cliente è stata definitivamente negata la detrazione, salvaguardando così la neutralità dell’imposta.
La stessa esigenza si impone, allo specifico fine di non rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di rimborso dell’imposta non dovuta, quando il fornitore sia esposto all’azione di ripetizione del cliente. Come ora espressamente previsto dal primo comma dell’art. 30-ter del D.P.R. n. 633/1972, il fornitore ha tempo due anni da quando ha restituito al proprio cliente l’imposta per presentare istanza di rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria a dispetto dei dieci anni a disposizione del cliente per pretendere dal fornitore la restituzione dell’importo indebitamente pagato a titolo di rivalsa.

Nella causa C-427/10 (Banca Antoniana Popolare Veneta), la Corte di Giustizia ha ritenuto che il disallineamento temporale tra i termini di rimborso previsti a favore, rispettivamente, del fornitore e del cliente non è incompatibile con l’ordinamento comunitario a condizione che al fornitore sia garantita la restituzione dell’imposta se esposto all’azione di ripetizione del cliente.

Sennonché, la Corte di Cassazione ha interpretato in maniera rigorosa la pronuncia in esame, sostenendo che il rimborso nei confronti del fornitore dopo il decorso del termine biennale di decadenza – che decorre dal versamento all’Erario – è ammesso nel solo caso in cui egli abbia restituito l’imposta al cliente in esecuzione di un provvedimento coattivo (Cass. n. 1426/2016 e n. 3627/2015).
Tale orientamento risulta opinabile, considerando che il cliente al quale venga disconosciuta la detrazione operata in ragione della natura indebita dell’imposta si rivolgerà al proprio fornitore per ottenerne la restituzione. Pertanto, è logico ritenere che se quest’ultimo ha provveduto al relativo rimborso, in modo spontaneo o coattivo, avrà diritto – anche oltre il termine biennale di decadenza previsto dall’art. 30-ter, comma 1, D.P.R. n. 633/1972 – ad essere reintegrato dall’Amministrazione finanziaria; in caso contrario, l’Erario trarrebbe un indebito arricchimento a danno del fornitore, sul quale finirebbe per gravare il tributo con una evidente violazione del principio di neutralità.
All’inconveniente evidenziato ha posto finalmente rimedio il legislatore, che con il novellato comma 2 dell’art. 30-ter del D.P.R. n. 633/1972 ha stabilito che, nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.

Rimborso IVA in caso di definizione agevolata delle liti pendenti

Posto che la norma pone tra le condizioni necessarie per la presentazione della domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, applicata alla cessione di beni o alla prestazione di servizi, la circostanza che la stessa imposta sia stata accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, l’Agenzia delle Entrate – con la risposta a interpello n. 408 del 2023 – ha chiarito che l’adesione alla definizione agevolata della controversia tributaria da parte del cliente che abbia detratto l’IVA indebitamente addebitata a titolo di rivalsa, legittima il fornitore, nei limiti delle somme corrisposte alla controparte ai fini della definizione, a presentare domanda di rimborso entro il termine di due anni dalla data di restituzione alla controparte medesima dell’imposta.

Il rimborso è ammesso per un importo pari a quanto restituito alla controparte, che non può essere superiore a quanto effettivamente pagato in sede di definizione agevolata della controversia, restando inteso che, in caso di pagamento dilazionato di quanto dovuto, rilevano le rate effettivamente pagate.

Anche con riferimento alla definizione agevolata disposta dalla legge di Bilancio 2023, il procedimento può considerarsi concluso in via definitiva al momento del passaggio in giudicato della pronuncia giurisdizionale che dichiara l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere a seguito della definizione agevolata.
Di conseguenza, la domanda di rimborso di cui all’art. 30-ter, comma 2, D.P.R. n. 633/1972 deve essere presentata entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione alla controparte dell’importo pagato a titolo di rivalsa.

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