Rito accelerato in Cassazione e deflazione delle liti fiscali: il fine non giustifica i mezzi
- 11 Marzo 2023
- Posted by: Studio Pozzan
- Categoria: News Commercialista
Tutti gli operatori del processo tributario sono consapevoli dell’eccessivo numero di processi iscritti nei ruoli delle Corti di giustizia e della Corte di cassazione. La ricerca di strumenti deflativi è ben comprensibile, ma occorre distinguere tra misure contingenti e misure a regime, tra misure ragionevoli e misure in grado di arrecare nuovi e peggiori danni al rapporto Fisco-Contribuente.
Delle definizioni liti pendenti e delle rottamazioni, inutile dire ancora. Si tratta di misure che dovrebbero essere eccezionali e adottate solo in presenza di particolari momenti di transizione, e invece la realtà ci dice che nessuna maggioranza politica riesce a farne a meno, conquistando così da un lato un recupero di gettito, rispetto a quanto prevedibilmente ritraibile dalle procedure ordinarie, dall’altro il consenso di una larga parte dei contribuenti (quelli che, a torto o a ragione, sono oggetto di pretese impositive da parte degli uffici delle Agenzie fiscali).
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Circa l’effetto deflattivo, però, non può non rilevarsi come il continuo e ormai prevedibile ricorso, da parte del legislatore, alle sanatorie e alle definizioni agevolate rischi di produrre a medio termine un effetto perverso: difficile dissuadere un contribuente dal proposito di resistere ad oltranza, sia nel processo, sia rispetto alla riscossione, se la prassi legislativa insegna che, ad un ritmo sempre più veloce, arrivano forme di definizione che oltretutto penalizzano chi è stato più solerte nel pagare.
Tra le misure, invece, previste a regime, una desta particolare perplessità ed appare foriera di gravi incongruenze, forse anche in termini di incostituzionalità, ed è da augurarsi che in effetti si riveli una misura temporanea, destinata ad agire solo in un arco di tempo sufficiente ad una riduzione drastica dell’arretrato; e comunque si spera sarà usata con grande prudenza e saggezza dal giudice di legittimità.
Alludo al nuovo art. 380-bis del c.p.c., introdotto nel quadro della riforma Cartabia al dichiarato fine di consentire una conclusione semplificata per decreto dei giudizi di cassazione, quando l’esito appaia infausto ad una delibazione preliminare “monocratica”, del Presidente o del magistrato da lui delegato. In sostanza, se emerge una manifesta infondatezza o inammissibilità del ricorso principale (e di quello incidentale, se esistente; a differenza del sistema precedente, impostato sulla sezione “filtro”, non è prevista l’ipotesi del ricorso manifestamente fondato), viene comunicata alle parti una “proposta” monocratica, adottata senza alcun vaglio collegiale, che indica in sintesi le ragioni della previsione di esito infausto. La parte ricorrente è in sostanza avvertita della opportunità di fermare in tempo il giudizio, dato che, se non ne promuove con istanza la prosecuzione, il ricorso si intende rinunciato e, in tal senso, viene adottata la decisione conclusiva, estinguendo con decreto il giudizio (con possibilità di evitare il contributo unificato raddoppiato e forse anche la condanna alle spese). Se l’avvertimento lascia indifferente il ricorrente e non lo convince circa l’ineluttabile sorte negativa, questi può promuovere appunto la prosecuzione nel termine di quaranta giorni, ma deve rilasciare nuova specifica procura al difensore, necessaria a confermare la volontà di insistere; in tal caso va incontro, se la successiva attività difensiva non riesce a convincere il collegio, ad una sentenza che, oltre alle spese di giudizio (prima condanna), comporterà necessariamente non solo il raddoppio del contributo unificato (seconda condanna), ma altresì – senza alcuna possibilità di valutazione in senso diverso – la (terza) condanna all’ulteriore somma di cui al terzo comma dell’art. 96 c.p.c. in favore della controparte e la (quarta) condanna al pagamento di una somma a titolo di ammenda (tra 500 € e 5000 €).
Questa disciplina, già oggetto in generale di critiche radicali, appare inaccettabile perché ulteriormente squilibrata se si pensa a quell’amplissimo numero di ricorsi per cassazione che riguardano la materia tributaria; per la semplice ragione che tutti gli elementi pesantemente dissuasivi previsti dall’art. 380-bis e dall’art. 96 c.p.c., sono destinati a svolgere la loro efficacia deterrente quasi esclusivamente nei confronti della parte privata che sia ricorrente. La difficoltà e l’imbarazzo di ottenere una nuova procura, il raddoppio del contributo unificato, la responsabilità per le ulteriori condanne sono ostacoli pressoché insuperabili per il difensore della parte privata, mentre avranno un effetto dissuasivo molto minore rispetto alla parte pubblica; basti pensare al fatto che quest’ultima non è soggetta al contributo unificato e subisce in modo ovviamente molto minore la pressione della terza e della quarta condanna, potendo sempre invocare la necessità di perseguire con ogni mezzo il miglior risultato possibile per la parte pubblica.
E allora, data la difficoltà e la criticità delle misure contingenti, non può che auspicarsi che la prima forma di deflazione trovi attuazione all’inizio del conflitto, quando i numerosi istituiti deflativi dovrebbero assicurare una soluzione extraprocessuale e consensuale ad un rilevante numero di controversie; le Amministrazioni finanziarie, su questo, molto di più e meglio possono fare.