Rivalsa dell’IVA: quando conviene accettare le contestazioni dell’Ufficio
- 25 Marzo 2024
- Posted by: Studio Pozzan
- Categoria: News Commercialista
Chi
Contribuenti soggetti passivi IVA che hanno subito una rettifica in accertamento, anche se definita in adesione, per acquiescenza, in conciliazione o per omessa impugnazione.
Cosa
In tal modo, il soggetto non resta inciso dal maggior tributo dovuto per effetto di accertamenti, in quanto può traslarlo legittimamente sui propri clienti (nei confronti dei quali sono state effettuate le operazioni che hanno dato luogo alla rettifica) i quali, a loro volta, hanno diritto alla detrazione (quindi, al recupero) dell’IVA loro addebitata in rivalsa.
Ad esempio A effettua cessioni di beni a B, ritenendo che l’operazione sia esente da IVA. L’ammontare delle operazioni è pari a 100. In caso di accertamento in rettifica effettuato dall’Ufficio, secondo il quale le cessioni avrebbero dovuto, invece, essere assoggettate ad IVA con aliquota del 22%, il cedente diventa debitore dell’IVA non applicata, pari a 22 (oltre a interessi e sanzioni). In base alla norma citata, il cedente può addebitare l’IVA al proprio cessionario, così da non rimanere inciso dall’imposta dovuta. A sua volta, il cessionario che corrisponde l’IVA al proprio cedente, non rimarrà inciso dal tributo in quanto potrà esercitare il diritto di detrazione. In questo modo, l’IVA, in ossequio al principio di neutralità, non graverà sul conto economico né del cedente né del cessionario. |
Si tratta di un istituto avente carattere facoltativo e natura privatistica, inerendo non al rapporto tributario ma ai rapporti interni fra i contribuenti, in base al quale:
a) il cedente può addebitare l’IVA da accertamento definitivo nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi;
b) il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione.
La possibilità di esercitare la rivalsa in presenza di atti di accertamento presuppone la definizione dell’accertamento ed il pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi.
Pertanto, la norma è applicabile quando un accertamento si rende definitivo (quindi, non più impugnabile) attraverso, ad esempio:
– l’adesione all’accertamento o al verbale di constatazione oppure ai contenuti dell’invito al contraddittorio;
– l’acquiescenza all’accertamento e la mancata impugnazione dell’atto di accertamento nei termini previsti dalla legge;
– la conciliazione giudiziale;
– la mancata impugnazione della sentenza favorevole all’Amministrazione finanziaria.
Inoltre, nell’ipotesi in cui l’IVA accertata sia assolta in parte mediamente versamento, in parte mediante compensazione con un credito riconosciuto, per esempio, in sede definizione dell’accertamento, l’ammontare di imposta oggetto di rivalsa non sarà limitato al minore importo dell’IVA pagata a mezzo F24 ma sarà pari all’ammontare complessivamente dovuto, ivi compresa la quota di debito estinta per compensazione.
Come
L’esercizio della rivalsa in caso di accertamento presuppone la riferibilità dell’imposta accertata a specifiche operazioni e la conoscibilità del cessionario/committente, la definitività dell’accertamento e l’avvenuto versamento dell’imposta o della maggiore imposta accertata, delle sanzioni e degli interessi (ad esempio, quindi, la rivalsa non può essere esercitata in caso di operazioni al dettaglio, quando il cliente non è identificabile oppure se la maggiore imposta viene determinata dall’Ufficio in base ad accertamento induttivo).
Nel caso di operazioni assoggettate a tributo mediante inversione contabile, qualora venga contestata una violazione IVA (ad esempio, l’applicazione di un’aliquota inferiore rispetto a quella dovuta), la maggiore imposta oggetto di accertamento concorrerà alla determinazione sia dell’IVA a debito sia dell’IVA detraibile; pertanto, il contribuente non sarà tenuto a versare alcun ammontare a titolo di imposta all’Erario, qualora sia riconosciuta la spettanza integrale della detrazione, perché la compensazione dell’imposta a debito e dell’imposta a credito è operata direttamente in sede di accertamento, senza che sia necessario procedere al pagamento dell’imposta accertata e alla sua successiva detrazione.
Quando
Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi:
– quando l’accertamento è divenuto definitivo;
– soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi.
La norma non prevede termini per esercitare la rivalsa. Poiché si tratta, come detto, di un istituto avente natura privatistica, in assenza di una previsione espressa, dovrebbe ritenersi che la rivalsa possa essere esercitata entro il termine prescrizionale ordinario di 10 anni, decorrente dalla data del pagamento, da parte del cedente/prestatore, di quanto dovuto all’Erario.
In caso di “splafonamento” da parte dell’esportatore abituale, questi potrà esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il medesimo ha provveduto al pagamento dell’imposta, della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi, a seguito della contestazione della violazione.
Calcola il risparmio
L’IVA risultante da accertamenti e rettifica, se non ribaltata sul cessionario/committente, costituisce un costo per il cedente/prestatore.
Risparmio %
Caso n. 1
A una società viene contestata la fatturazione irregolare, per applicazione di aliquota inferiore a quella dovuta (10% anziché 22%) nei confronti di un determinato cessionario, per gli anni 2020 e 2021.
2020
Imponibile: 80.000 euro
IVA applicata: 8.000 euro
IVA dovuta: 17.600 euro
Differenza: 9.600 euro
Violazioni contestate (si ipotizza l’applicazione delle sanzioni in misura minima):
– Infedele fatturazione: 8.640 euro
– Infedele dichiarazione: 8.640 euro
– Cumulo giuridico: 10.800 euro
2021
Imponibile: 100.000 euro
IVA applicata: 10.000 euro
IVA dovuta: 22.000 euro
Differenza: 12.000 euro
Violazioni contestate (si ipotizza l’applicazione delle sanzioni in misura minima):
– Infedele fatturazione: 10.800 euro
– Infedele dichiarazione: 10.800 euro
– Cumulo giuridico: 13.500 euro
2020 2021
Cumulo giuridico: 20.250 euro (10.800 + 5.400 + 4.050)
La maggiore IVA dovuta dalla società per la errata applicazione dell’aliquota (21.600 euro), se non ribaltata sul cessionario diventa un costo per l’azienda, peraltro nemmeno deducibile ai fini delle imposte sui redditi (art. 99, comma 1, TUIR).
Invece, in caso di ribaltamento dell’IVA sul cessionario, si avrebbe la seguente situazione (si ipotizza che la violazione sia definita in adesione. Si ricorda che nei casi di accertamento con adesione le disposizioni sul cumulo giuridico si applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d’imposta):
2020
Pagamento dell’IVA all’Erario: 9.600 euro (più interessi al 3,5%/anno)
Sanzione: 3.600 euro
Incasso dell’IVA dal cessionario: 9.600 euro
Detrazione IVA da parte del cessionario: 9.600 euro
Situazione cedente:
Incassa 9.600 euro
Paga 9.600 euro (+ interessi) + 3.600 euro
Differenza a suo carico: 3.600 euro (+ interessi sull’imposta)
Situazione cessionario
Paga a cedente 9.600 euro
Recupera in detrazione 9.600 euro
Differenza: 0
2021
Pagamento dell’IVA all’Erario: 12.000 euro (più interessi al 3,5%/anno)
Sanzione: 4.500 euro
Incasso dell’IVA dal cessionario: 12.000 euro
Detrazione IVA da parte del cessionario: 12.000 euro
Situazione cedente:
Incassa 12.000 euro
Paga 12.000 euro (+ interessi) + 4.500 euro
Differenza a suo carico: 4.500 euro (+ interessi sull’imposta)
Situazione cessionario
Paga a cedente 12.000 euro
Recupera in detrazione 12.000 euro
Differenza: 0
Caso n. 2
A una società viene contestata la vendita di beni al dettaglio con applicazione di aliquota inferiore a quella dovuta (10% anziché 22%) nei confronti di cessionari non identificabili per gli anni 2020 e 2021.
2020
Imponibile: 80.000 euro
IVA applicata: 8.000 euro
IVA dovuta: 17.600 euro
Differenza: 9.600 euro
2021
Imponibile: 100.000 euro
IVA applicata: 10.000 euro
IVA dovuta: 22.000 euro
Differenza: 12.000 euro
In questo caso, non è possibile rivalersi sui cessionari/committenti dalla maggiore IVA accertata.
Pertanto, l’importo dell’IVA pari a 21.600 euro, oltre alle sanzioni e agli interessi, sarà dovuto dal cedente/prestatore e graverà sul suo conto economico.