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Rottamazione liti: difficoltà apparenti per individuare le controversie ammesse?

Rottamazione Liti: Difficoltà Apparenti Per Individuare Le Controversie Ammesse?

Si avvicina la scadenza del 31 maggio. È il momento di capire se si hanno le carte in regola per essere legittimati alla presentazione della domanda di definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti. È necessario distinguere gli atti che attengono alla riscossione (ad esempio, alcune controversie che riguardano l’impugnazione di una cartella di pagamento) e gli atti impositivi. La sottile linea di discrimine non è così netta e richiede, pertanto, un’attenta valutazione del caso concreto. Questa pare sia la linea di pensiero anche dell’Agenzia delle Entrate.

La data fissata per la presentazione delle domande di definizione agevolata delle posizioni tributarie ancora “aperte” è dietro l’angolo.

È il momento, quindi, di capire se abbiamo le carte in regola per essere legittimati a prendere parte a questa nuova (si fa per dire) iniziativa di “pace” con il fisco.

Su questo punto pensiamo di fermare oggi la nostra attenzione.

Il discorso può prendere il via da due documenti con i quali la Corte di cassazione prima e l’Agenzia delle Entrate dopo – in assoluta autonomia – hanno messo le “carte in tavola” per indicare gli spazi percorribili in sede attuativa, sia pure limitatamente alla fase che oggi ci interessa.

Le cose stanno così.

I giudici della Cassazione, chiamati a risolvere una controversia concernente l’impugnazione di una cartella di pagamento emessa ai sensi dell’art. 36-bis del “decreto 600”, hanno dovuto decidere, preliminarmente, su una istanza di sospensione del processo, presentata dal ricorrente, ai sensi dell’art. 6 del D.L. n. 119 del 2018 (cioè, del decreto della “pace fiscale”).

Alla domanda (pregiudiziale) se la controversia avesse o no titolo per rientrare tra quelle passibili di definizione agevolata, i giudici hanno risposto no. Le controversie definibili in modo agevolato – hanno detto – riguardano solo quelle in cui è parte l’Agenzia delle Entrate (art. 6 del decreto fiscale) e sempre che le stesse abbiano ad oggetto un atto impositivo. Nel caso in esame, l’oggetto della controversia era l’impugnazione di una cartella di pagamento (ex art. 36-bis, D.P.R. n. 600/1973); nel caso in esame, quindi, un atto di riscossione che, in quanto tale, sarebbe senza titolo per essere accostato ad un atto impositivo.

Una demarcazione netta. Ma fino a un certo punto.

La Corte di Cassazione, infatti, ha ritenuto di sottolineare che, nel contesto in cui si muoveva la questione si trattava di una cartella di pagamento impugnata solo per vizi propri e, perciò, non impugnata nel merito della pretesa erariale.

Come dire che se la cartella di pagamento fosse stata impugnata anche nel merito avrebbe potuto configurare il primo atto di una pretesa tributaria. E, nel qual caso, la conclusione del discorso avrebbe potuto prendere un’altra piega.

La situazione, infatti, avrebbe potuto configurare i connotati di un atto impositivo.

Ma andiamo avanti e vediamo di capire quali sono gli spazi entro i quali – sul punto – si è mossa l’Agenzia delle Entrate attraverso le argomentazioni espresse nella circolare n. 6/E del 2019.

Non è impresa difficile.

L’Agenzia delle Entrate, infatti, parte dall’assunto che le controversie in questione sono quelle attribuite alla giurisdizione tributaria in cui essa è parte e che, per identificare le controversie definibili, occorre fare riferimento “alle sole ipotesi in cui l’Agenzia delle Entrate sia stata evocata in giudizio o, comunque, sia intervenuta”.

Sembra di capire che – per l’estensore della circolare – non sono definibili le controversie “nelle quali è parte unicamente l’agente della riscossione, ancorchè inerenti ai tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate e ad atti aventi comunque natura impositiva”.

Nella circolare si legge anche che “per identificare le liti in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, occorre fare riferimento alla nozione di parte in senso formale e, quindi, alle sole ipotesi in cui la stessa sia evocata in giudizio o, comunque, sia intervenuta”.

Una sovrapposizione perfetta a quanto già detto dalla Cassazione.

Ma, all’apparenza.

Nella sostanza, infatti, l’Agenzia delle Entrate ha aggiunto qualcosa che, sul punto, può costituire un distinguo di non poco conto. Qualcosa che esemplifica casi specifici.

“Non è definibile la controversia instaurata avverso una cartella di pagamento emessa a seguito di rettifica dei dati inseriti in dichiarazione […], impugnata per vizi attinenti al merito della pretesa e in cui sia parte, in senso formale, il solo agente della riscossione”. Ma nel testo della circolare si legge anche qualcosa che fa riferimento a disposizioni quali l’art. 36-bis e dintorni del decreto 600 e, per l’IVA, l’art. 54-bis e compagni del decreto 633.

L’Agenzia delle entrate, a questo punto, porta a conclusioni di rilievo quando sottolinea che tali disposizioni “consentono di provvedere, in aggiunta al controllo dei versamenti, anche alla rettifica di alcuni dati indicati in dichiarazione e alla conseguente iscrizione a ruolo delle maggiori imposte dovute” rispetto al dichiarato. In tali circostanze – sottolinea la circolare – “il ruolo si differenzia dall’atto di mera riscossione dell’imposta già dichiarata, liquidata e non versata dal contribuente e, dal momento che scaturisce dalla rettifica della dichiarazione, esso assolve anche una funzione di provvedimento impositivo”.

E così, all’Agenzia delle Entrate è dato modo di concludere che “le relative controversie sono ammesse alla definizione, ancorché riguardanti il ruolo”.

Le conclusioni affrettate possono essere accantonate e queste ultime affermazioni possono fare parte di attente valutazioni.

La porta non si chiude mai al primo colpo di vento.

Teniamone conto.

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