Commercialista Verona, Studio Consulenza Finanziaria e Amministrativa

Sanzioni tributarie non penali: quale futuro per i principi di proporzionalità e favor rei?

Leggi anche

In questa sede svolgeremo alcune preliminari considerazioni sui principi che il legislatore delegato ha inteso attuare con gli interventi normativi de quibus sulla base dei criteri direttivi contenuti nella legge n. 111/2023 (“Delega al Governo per la riforma fiscale”), con specifico riferimento alle sanzioni tributarie non penali.

Il principio di proporzionalità

La volontà di evidenziarne l’importanza si apprezza da alcune modifiche introdotte dall’art. 3 del provvedimento approvato al D.Lgs. 472/1997, che trovano la loro radice nell’art. 20, comma 1, lettera c), n. 1 e n. 2, della legge delega, che si pone l’obiettivo di “migliorare la proporzionalità delle sanzioni” e di rivedere la disciplina del ravvedimento “mediante una graduazione della riduzione delle sanzioni coerente con […]” tale principio:

– la prima sostituisce la rubrica dell’art. 3 che ora diventa “Principi di legalità e proporzionalità”;

– la seconda aggiunge il comma 3-bis al medesimo articolo per sottolineare il principio per cui “la disciplina delle violazioni e sanzioni tributarie è improntata ai principi di proporzionalità e di offensività”;

– la terza inserisce al comma 1 dell’art. 7 la riproposizione del principio per cui “la determinazione della sanzione è effettuata in ragione del principio di proporzionalità di cui all’art. 3, comma 3-bis”.

Mentre le prime due (quelle all’art. 3) hanno la funzione di sottolineare un principio generale a futura memoria del legislatore – con tutti i limiti in termini di derogabilità impliciti in disposizioni contenute in leggi ordinarie – la modifica all’art. 7 costituisce un vincolo ineludibile per l’Agenzia delle Entrate che, in concreto, dovrà determinare la dimensione della sanzione in funzione di una serie di elementi che vanno oltre la semplice applicazione della pena edittale.

Un tema non nuovo

L’attenzione del legislatore per questo tema non è una novità.

Già la legge delega della storica riforma del sistema tributario (art. 10, comma 2, n. 11, legge n. 825/1971) prevedeva la “commisurazione delle sanzioni all’effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni”, così come quella successiva (legge n. 662/1996) il cui art. 3, comma 133, lettera q) contiene una disposizione di analogo tenore, con l’aggiunta del necessario riferimento alla legislazione sanzionatoria degli altri Paesi UE.
Ma non è tutto, perché anche la successiva legge di riforma (art. 8, comma 1, legge n. 23/2014) si proponeva di rivedere il “sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti”.

Come si può vedere, questo principio ha sempre rappresentato il filo conduttore dell’intervento del legislatore delegante, ma la sua continua riproposizione certificherebbe anche un sostanziale fallimento dei vari tentativi che hanno coinvolto lo stesso legislatore, forse oppresso da esigenze di cassa o da visioni puramente ideologiche, che lo hanno spinto a innalzare le sanzioni a livelli ben poco “proporzionali” alla dimensione economica dell’illecito, e l’Amministrazione finanziaria (prima MEF, poi Agenzia delle Entrate) che avrebbe avuto il potere di rideterminare la sanzione edittale in funzione della “natura soggettiva” dell’illecito.

Quindi perché il legislatore ha sentito il bisogno di sottolineare l’importanza di tale principio riscrivendo alcuni passaggi normativi? E cosa ci fa pensare che questa volta il risultato potrebbe essere diverso?

banner_rfi_fisc_620X173 jpg

Quale futuro per il principio di proporzionalità

Sicuramente l’intervento del legislatore appare apprezzabile.

Va ricordato che non si (è) limita(to) a enfatizzare i principi generali, ma contiene anche un cambio di paradigma affidato all’art. 2 del provvedimento in esame, che contiene anche una serie nutrita di misure integrative/modificative del D.Lgs. n. 471/1997: l’abbandono del range di proporzionalità – “dal … al … per cento” – e l’adozione di una misura percentuale unica pari all’attuale minimo edittale o, in taluni casi, inferiore.
Tale approccio – la riduzione delle sanzioni – non può sicuramente essere scambiato per una rinuncia a colpire coloro che commettono illeciti: la lotta alla mancata esecuzione (in tutto o in parte) del dovere di contribuzione (articoli 53, 2 Cost.) non si svolge certo innalzando la misura delle sanzioni, ma eseguendo i controlli a tutti i livelli previsti – avendo a disposizione le necessarie risorse umane e tecniche – e rendendo certa la pena (in questo caso pecuniaria). Pena che, come l’imposta, deve essere giusta, ragionevole e proporzionata alla gravità dell’illecito e alla personalità del soggetto che lo commette.
A favore dell’intervento legislativo sulla riparametrazione delle sanzioni tributarie, potremmo rilevarne la coerenza con la pronuncia n. 46/2023 della Corte costituzionale sull’applicazione del principio di proporzionalità alle sanzioni tributarie (non nuova, dal momento che richiama precedenti arresti: sentenze n. 185/2021 e n. 161/2018).
Come si desume dalla sentenza citata, tuttavia, il problema potrebbe risiedere, nonostante l’intervento riformatore, nella fase della concreta applicazione delle sanzioni in relazione ai poteri conferiti dall’art. 7, D.Lgs. n. 472/1997 anche nella nuova formulazione, in specie del comma 1, in merito alla valutazione della gravità della violazione desunta anche dalla condotta dell’agente, alla sua personalità e alle condizioni economiche e sociali. Perché è il risultato concreto del provvedimento sanzionatorio in applicazione dei commi 1 e 4 del citato art. 7, che potrebbe essere oggetto di una interpretazione adeguatrice allo scopo di tutelare il principio costituzionale di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost., come lo è stato nella citata sentenza.

Il principio del favor rei

L’art. 5 del decreto stabilisce che le disposizioni sulla revisione delle sanzioni – articoli 2, 3 comma 1, lettere a), b), c), d), e), h), i), l), m), n), o), e 4 – si applicano alle violazioni commesse successivamente all’entrata in vigore dello stesso decreto. Al di là dei problemi che questa disposizione potrà generare in relazione all’applicazione del cumulo giuridico, già sollevati in dottrina, si deve ritenere che il legislatore sia pronto a manifestare le giustificazioni oggettivamente ragionevoli che consentirebbero la deroga a tale principio, secondo quanto espresso dalla Corte costituzionale con sentenza n. 236/2011.
Chi sostiene l’inderogabilità del principio de quo, richiama l’art. 3, comma 3, D.Lgs. 472/1997 che lo sancisce in ambito tributario (Cass. n. 9217/2008). Ma questa è una disposizione contenuta in una legge ordinaria che, per sua natura, è derogabile da una legge successiva. Così come derogabili sono le disposizioni contenute nello Statuto del contribuente (legge n. 212/2000), nonostante la ritenuta “natura rafforzata” di tali norme che “costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario” e “criteri di interpretazione della legislazione tributaria”.
In verità, i principi di legalità, irretroattività e di divieto dell’applicazione analogica di cui all’art. 1, legge n. 689/1981, in tema di sanzioni amministrative, comportano l’assoggettamento della condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano considerarsi tali ab origine, senza che possano trovare applicazione analogica, attesa la differenza qualitativa delle situazioni considerate, gli opposti principi di cui all’art. 2, commi 2 e 3, c.p., i quali, recando deroga alla regola generale dell’irretroattività della legge, possono, al di fuori della materia penale, trovare applicazione solo nei limiti in cui siano espressamente richiamati dal legislatore (Cass. ordinanza n. 30500/2022).
Di contro, giova ricordare, a titolo di esempio, che in materia di sanzioni per l’abuso di informazioni privilegiate nel settore finanziario, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, D.Lgs. 72/2015 nella parte in cui ha escluso l’applicazione retroattiva della diminuzione delle sanzioni amministrative (sentenza n. 63/2019). Allo stesso modo, la medesima Corte ha statuito che il fondamento della retroattività della legge favorevole va individuato nel principio di eguaglianza, che impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della lex mitior (sentenza n. 394/2006).

Non c’è dubbio, quindi, che la disposizione in commento genererà un notevole contenzioso.

L’art. 81 Cost.: ragionevolezza e via di fuga per il legislatore

L’art. 81 Cost., e la conseguente tutela dei conti pubblici, potrebbe rappresentare una oggettiva giustificazione per la scelta del legislatore di prevedere un limite al favor rei, già ritenuta valida dalla Corte costituzionale in precedenti pronunciamenti.

Il tema, tuttavia, merita una breve riflessione.

È noto che l’art. 81 Cost. prevede, da un lato, l’equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio (comma 1), e dall’altro, che ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri debba individuare i mezzi per farvi fronte (comma 3). Posto che con “maggiori oneri” si intende una maggiore spesa o una minore entrata, la riduzione delle sanzioni pecuniarie determinerebbe una minore entrata per le casse dello Stato, che imporrebbe di identificare specifici programmi di riduzione di altri capitoli spesa e/o di incremento di entrate (tributarie, ad esempio, o straordinarie come le privatizzazioni di asset pubblici).
Ora, escludendo in questa sede valutazioni sull’opportunità di aver introdotto l’art. 81 Cost., non si può fare a meno di osservare che la contabilizzazione preventiva di “entrateda sanzioni tributarie dovrebbe essere un fatto meramente accidentale, avendo queste la finalità di punire la commissione di un eventuale illecito, e non certo quella di precostituire una entrata (come le imposte). Ne dovrebbe conseguire che qualunque intervento che attenga ad elementi accidentali non dovrebbe né rappresentare né imporre un vincolo.

Il ravvedimento: che cos’è realmente?

Sarebbe davvero auspicabile che il “riordino organico delle disposizioni che regolano il sistema tributario mediante l’adozione di testi unici” (art. 21, legge n. 111/2023) interessasse anche il sistema sanzionatorio di cui si discute e gli intrecci, troppi, con la disciplina del ravvedimento di cui all’art. 13, D.Lgs. 472/1997, che dovrebbe riappropriarsi della sua vera natura, che è quella di rappresentare lo strumento attraverso il quale il contribuente si avvede spontaneamente dei propri errori e li corregge.

Uno strumento, quindi, attivabile tutte le volte in cui non sono stati assolti gli obblighi di legge nei termini stabiliti, prima che l’Amministrazione finanziaria si accorga della sussistenza di incongruenze o violazioni. Per citare il comma 1 dell’art. 13 citato, prima che la violazione sia stata constatata o che siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento di cui il soggetto obbligato sia venuto a conoscenza. Al di fuori di questi casi non si potrebbe parlare di ravvedimento, sempre imprescindibilmente associabile alla spontaneità, ma di una attività diversa, probabilmente di compliance, preliminare alla fase accertativa più formale e impegnativa, in termini di impiego di risorse, per entrambe le parti coinvolte.

In altre parole, il ravvedimento non dovrebbe ispirarsi al principio del “non è mai troppo tardi” (che ci ricorda una celebre trasmissione Rai degli anni ’60), né potrebbe diventare una sorta di “sanatoria permanente”, perché una interpretazione adeguatrice della norma potrebbe qualificarlo in contrasto con i principi di uguaglianza sostanziale e di buon andamento dell’amministrazione di cui agli articoli 3 e 97, comma2, Cost.

Copyright © – Riproduzione riservata

Fonte

Exit mobile version