Sanzioni tributarie: vale il principio di proporzionalità
- 18 Marzo 2023
- Posted by: Studio Pozzan
- Categoria: News Commercialista
Con la sentenza n.46 del 17 marzo 2023, la Corte Costituzionale dichiara che, anche per le sanzioni amministrative tributarie, vale il principio di proporzionalità: l’art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997, prevedendo la possibilità di ridurre le sanzioni fino a dimezzarle, si pone come «una opportuna valvola di decompressione che è atta a mitigare l’applicazione di sanzioni» che «strutturate per garantire un forte effetto deterrente al fine di evitare evasioni anche totali delle imposte, tendono a divenire draconiane quando colpiscono contribuenti che invece tale intento chiaramente non rivelano».
Il caso
La CTP di Bari dubita, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 Cost., della legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, primo periodo, e 13, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997.
La prima disposizione censurata (nella versione successiva alle modifiche apportare dall’art. 15, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 158 del 2015) prevede che: «nei casi di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, si applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 250».
La seconda disposizione sancisce l’irrogazione della sanzione pari al trenta per cento degli importi non versati per il contribuente che, dopo avere presentato la dichiarazione dei redditi, non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i pagamenti delle imposte dovute.
Le questioni di legittimità costituzionale, sono sorte nel corso di un giudizio riguardante due avvisi di accertamento emessi dalla Agenzia delle entrate nei confronti di una società consolidante, con riferimento agli anni di imposta 2014 e 2015, non avendo essa provveduto alla presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al consolidato fiscale, pur avendo presentato la propria, come del resto le consolidate, per le quali è pacifico che a tale obbligo «hanno ottemperato».
In particolare, il giudice a quo chiarisce che con i due avvisi sono state comminate sanzioni per omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi, pari al centoventi per cento delle imposte accertate.
La CTP precisa, però, che la società ricorrente ha dimostrato «di avere pagato integralmente le imposte dovute», unitamente agli interessi e alle sanzioni «ridotte», «prima di ricevere gli avvisi di accertamento impugnati».
In effetti, sembra che la condotta di chi, pur non presentando la dichiarazione dei redditi, effettui i pagamenti per intero, prima della ricezione dell’avviso di accertamento, sarebbe meno grave di quella di chi ometta non solo la presentazione della dichiarazione dei redditi ma anche il pagamento delle imposte.
L’art. 3 Cost. subirebbe un vulnus in quanto scoraggerebbe l’adempimento tardivo, ma spontaneo, del pagamento delle imposte, demotivando i contribuenti che non ne ricaverebbero alcun vantaggio.
La norma censurata contrasterebbe, poi, anche con i parametri costituzionali di cui agli artt. 53 e 76 Cost., in quanto divergerebbe «dallo scopo indicato dalla legge delega di riforma tributaria n. 825/1971» e in particolare da quello di commisurare le sanzioni «all’effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni».
Tale disposizione sarebbe, quindi, in contrasto con gli artt. 3, 53 e 76 Cost. «nella parte in cui prevede che solo chi abbia presentato la dichiarazione fiscale senza eseguire i prescritti versamenti sia soggetto alla sanzione amministrativa pari al 30% dell’importo non pagato e possa fruire delle riduzioni previste nel caso di versamento spontaneo e non anche chi abbia omesso di presentare la dichiarazione fiscale ma abbia poi effettuato spontaneamente il pagamento delle imposte prima di ricevere un accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria».
Sentenza della Corte
La Corte Costituzionale nella sentenza n. 46/2023 del 17 marzo 2023, evidenzia innanzi tutto che un sistema di fiscalità di massa poggia sull’architrave dell’autoliquidazione delle imposte, cui deve corrispondere, nell’ambito dell’imposta sui redditi, la fedele compilazione e la tempestiva presentazione della dichiarazione, che costituisce uno degli atti più importanti nell’ambito della disciplina attuativa di tale imposta.
Tramite la dichiarazione dei redditi il contribuente è pertanto chiamato a collaborare con l’amministrazione finanziaria, esponendosi quindi ai relativi controlli. Tale dichiarazione ha, infatti, una rilevanza procedimentale:
– consente all’Agenzia delle entrate, innanzitutto, di attivare i controlli automatizzati e formali, di cui, rispettivamente, agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600 del 1973;
– condiziona poi l’accertamento e determina, in particolare, i metodi di rettifica del reddito dichiarato.
In tal modo la presentazione della dichiarazione agevola le attività dell’amministrazione finanziaria, che dovrà invece ricorrere ad altri e più impegnativi strumenti nei confronti di quei contribuenti che, non assumendo tale atteggiamento collaborativo, presumibilmente sono orientati a sottrarsi totalmente al versamento delle imposte dovute.
In caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, infatti, l’Agenzia delle entrate può anche procedere, ai sensi dell’art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973, all’accertamento d’ufficio, di carattere induttivo, che consente di determinare il reddito complessivo del contribuente «sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui al terzo comma dell’art. 38 e di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze della dichiarazione, se presentata, e dalle eventuali scritture contabili del contribuente ancorché regolarmente tenute». Questo comporta per l’Amministrazione finanziaria un impegno ben superiore, in termini di risorse umane, rispetto a quello normalmente richiesto per la effettuazione degli altri controlli, e in particolare di quelli automatizzati e formali.
La Corte ritiene quindi che per il buon funzionamento del sistema tributario, sia necessario che l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi sia presidiata da una sanzione con un forte effetto deterrente.
Diverso è il problema della ragionevolezza e proporzionalità della sanzione in questione.
La Corte chiarisce che la possibilità di ricondurre nell’ambito dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità una sanzione come quella comminata dalla norma censurata, passa attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997 che va applicata al sistema delle sanzioni tributarie.
In ipotesi come quella del giudizio a quo, infatti, la risposta sanzionatoria all’omessa presentazione della dichiarazione della società consolidante, non può trascurare di considerare il comportamento del contribuente che, come detto, da un lato, ha tempestivamente presentato la propria dichiarazione (adempimento espletato anche dalle società consolidate), di fatto rendendosi visibile e facilmente intercettabile dal sistema dei controlli fiscali; e dall’altro, sebbene con alcuni anni di ritardo rispetto alle scadenze legali, ma comunque prima di ricevere gli avvisi di accertamento, ha interamente versato le imposte.
In relazione a simili situazioni, la previsione di una sanzione pari al centoventi per cento dell’imposta dovuta, secondo la Corte, non potrebbe, di per sé, superare il test di proporzionalità.
Occorre quindi che il comma 4 non venga letto atomisticamente, ma in rapporto con il comma 1 del medesimo art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997: in questi termini, infatti, il perimetro di applicazione del comma 4 viene dilatato, considerando, tra le «circostanze» che possono determinare la riduzione fino al dimezzamento della sanzione, quanto indicato nel comma 1 di tale articolo, e in particolare la condotta dell’agente e l’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze.
La riduzione delle sanzioni in tal senso, può essere operata già da parte dell’Agenzia delle entrate, poiché questa spesso dispone, fin dal momento della irrogazione della sanzione, degli elementi di valutazione utili al riguardo. In ogni caso ad essa potrà ricorrere il giudice nell’ambito del contenzioso, anche a prescindere da una formale istanza di parte, ogni qualvolta sia stato articolato un motivo di impugnazione sulla debenza o sull’entità delle sanzioni irrogate e risultino allegate circostanze tali da consentirlo.