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Proprio al fine di rafforzare la certezza del diritto e la stabilizzazione dei rapporti tra Amministrazione Finanziaria e contribuenti, è stato modificato l’
art. 8 della
legge n. 212/2000, rubricato “Tutela dell’integrità patrimoniale”, che tratta anche della
conservazione degli atti e dei documenti ai fini tributari.
La conservazione
Per determinare quali siano le scritture contabili che devono essere conservate nonché i tempi di conservazione obbligatoria delle stesse, è sufficiente il rinvio alle norme del Codice civile e alle disposizioni tributarie. In pratica, ai sensi dell’
art. 2214 c. c., si tratta del
libro giornale e del
libro degli inventari nonché delle
altre scritture contabili richieste dalla natura e dalla dimensione dell’impresa. Inoltre, occorre conservare gli
originali delle
lettere, dei
telegrammi e delle
fatture spedite e ricevute.
In merito alla documentazione contabile tributaria, il contribuente deve tenere i registri IVA vendite, acquisti, corrispettivi, le fatture emesse e le fatture ricevute, mentre, per i redditi, si contempla la tenuta dei registri dei beni ammortizzabili e, se ricorrono le condizioni, del magazzino.
Circa il
periodo di conservazione, sotto il profilo civilistico ai sensi dell’
art. 2220 c. c., il termine è fissato in 10 anni dall’ultima registrazione obbligatoria mentre, per il fiscale, ai sensi dell’
art. 22, comma 2,
D.P.R. n. 600/1973, il contribuente è obbligato a custodire i documenti contabili
fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta, anche oltre il termine stabilito dall’
art. 2220 c. c. o da altre leggi tributarie.
In merito alle modalità di conservazione dei registri contabili e dei libri sociali di cui sopra, è possibile scegliere tra:
– conservazione su supporto cartaceo;
– conservazione elettronica.
Deve essere evidenziato che i concetti di tenuta delle scritture contabili e di conservazione delle scritture contabili sono distinti e costituiscono degli adempimenti disgiunti l’uno dall’altro, anche se conseguenti.
Volendo sintetizzare il quadro normativo, nel rispetto della legislazione vigente, i documenti fiscalmente rilevanti consistono in registri tenuti in formato elettronico:
a) ai fini della loro regolarità, non sussiste obbligo di essere stampati sino al terzo (o sesto per il solo 2019) mese successivo al termine di presentazione della relativa dichiarazione dei redditi, salva apposita richiesta in tal senso da parte degli organi di controllo in sede di accesso, ispezione o verifica;
b) entro tale momento (terzo/sesto mese successivo al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi) vanno posti in conservazione nel rispetto del
D.M. 17 giugno 2014 – e, quindi, anche del CAD (
D.Lgs. n. 82/2005) e dei relativi provvedimenti attuativi ai quali lo stesso D.M. rinvia – laddove il contribuente voglia mantenerli in formato elettronico, ovvero materializzati (stampati) in caso contrario.
Nella sua formulazione originaria, il comma 4-quater considera regolare la tenuta di qualsiasi registro contabile con sistemi elettronici su qualsiasi supporto, in ogni caso, in difetto di trascrizione su supporti cartacei nei termini di legge, qualora in sede di accesso, ispezione o verifica gli stessi risultino aggiornati sui predetti sistemi elettronici e vengono stampati a seguito della richiesta avanzata dagli organi procedenti ed in loro presenza.
Con le modifiche, oltre alla tenuta, si consente anche la conservazione telematica dei registri contabili con sistemi elettronici su qualsiasi supporto, anche in difetto di conservazione sostitutiva digitale, effettuata ai sensi del CAD.
Cosa prevede il decreto attuativo della delega fiscale
Con le modifiche in esame:
– l’obbligo di conservazione degli atti a fini tributari per non più di 10 anni è esteso alle scritture contabili;
– si chiarisce che l’obbligo riguarda non solo la conservazione, ma altresì l’utilizzazione dei predetti atti.
Con una disposizione di chiusura si stabilisce che il decorso del termine preclude definitivamente la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di fondare pretese su tale documentazione.
In particolare, ai fini dell’accertamento, secondo la Cassazione, l’Amministrazione Finanziaria può esigere un periodo superiore, soprattutto ai fini della documentabilità dei costi sostenuti (nel caso di specie si trattava della deducibilità delle quote di ammortamento).
Al riguardo, gli ultimi giudici hanno sancito che, secondo l’
art. 22, comma 2,
D.P.R. n. 600/1973, le scritture contabili obbligatorie devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo di imposta,
anche oltre il termine decennale stabilito dall’
art. 2220 c.c. o da altre leggi tributarie.
Secondo la Corte si tratta di una
disposizione speciale che, ai fini tributari, detta una regola diversa in materia di obbligo di conservazione delle scritture contabili, prevalente sul termine decennale indicato invece dall’
art. 2220 c.c..
Ancora, sull’interpretazione della previsione di durata ultradecennale dell’obbligo di conservazione della documentazione, è bene ricordare quanto sancito dalla CTP di Varese, sez. II, 2 febbraio 2021, n. 83, la quale ha sostenuto che non può intervenire la prescrizione decennale dell’obbligo di conservazione documentale, di cui all’
art. 2457 c.c., quando essa è necessaria a consentire la ricostruzione dei redditi. In particolare, occorre tenere distinti l’obbligo di conservazione della documentazione contabile e fiscale e l’onere di fornire la prova che grava in capo al contribuente nel corso dell’attività di accertamento condotta dall’Amministrazione finanziaria. Per cui, la previsione della durata decennale dell’obbligo di conservazione della documentazione non può essere interpretata come una limitazione legale dell’onere probatorio a carico di chi è tenuto a dare la prova integrale della propria condotta fiscale avanti l’Autorità tributaria. Difatti, l’
art. 22,
D.P.R. n. 600/1973 prevede che le scritture contabili obbligatorie, compresi gli originali delle fatture, devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta e, dunque, anche oltre il termine stabilito dall’
art. 2220 c.c.
Con la modifica in esame si mette fine ai principi dettati dalla suddetta giurisprudenza, evitando così, come spiega la relazione illustrativa al provvedimento, di lasciare i contribuenti esposti a contestazioni per tempi eccessivamente lunghi.
Da ultimo, viene modificato anche il comma 6 dell’art. 8 richiamato, che affida a un decreto ministeriale il compito di emanare le disposizioni attuative dell’intero articolo.
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