di Fabrizio Cancelliere e Gabriele Ferlito
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Il regime fiscale di favore per il rientro dei lavoratori in Italia (i cosiddetti «controesodati», di cui all’articolo 2, legge 238/2010), spetta anche al lavoratore che rientra in Italia alle dipendenze della stessa società in cui lavorava prima del trasferimento all’estero presso una società appartenente al medesimo gruppo. A dirlo è la Ctp di Milano con la sentenza 3395/1/2019 (presidente Pilello, relatore Chiametti).
La vicenda origina da un questionario trasmesso a un contribuente dalle Entrate di Milano per la verifica dei requisiti necessari all’applicazione del regime di favore. Il contribuente aveva ritenuto applicabile il bonus impatriati al suo rientro in Italia, avvenuto nel dicembre 2010 alle dipendenze della stessa società italiana presso cui aveva lavorato fino al 2008, prima di svolgere un periodo di oltre 24 mesi presso una società americana collegata alla prima. L’ufficio, ritenendo non soddisfatte le condizioni richieste alla norma, contestava l’indebita fruizione dell’agevolazione per mancanza del requisito della discontinuità necessario per l’applicazione del regime.
L’ufficio riteneva che l’attività svolta all’estero (nel periodo 2008-2010) rappresentasse una mera prosecuzione dell’attività svolta in passato in Italia (fino al 2008): dalla documentazione prodotta, infatti, risultava che il contribuente era stato inizialmente assunto in Italia, presso la capogruppo italiana, con un contratto a tempo determinato, in attesa dell’assunzione a tempo indeterminato presso la controllata americana. Per l’ufficio, dunque, i due datori di lavoro dovevano ritenersi solo formalmente distinti e si era in presenza di una mera prosecuzione del rapporto lavorativo precedente.
Il contribuente impugna l’atto impositivo e il ricorso viene pienamente accolto dalla Ctp. Preliminarmente, i giudici ripercorrono il quadro normativo di riferimento e ricordano che la ratio dell’agevolazione per i “controesodati” è quella di contribuire allo sviluppo del Paese attraendo in Italia, per mezzo di un regime fiscale di favore, il capitale umano trasferitosi all’estero. Pertanto, analizzando la fattispecie concreta, i giudici giungono al riconoscimento dell’agevolazione in favore del contribuente.
Secondo la Ctp, il legislatore non ha posto alcuna restrizione normativa in merito all’eventuale rapporto di controllo/collegamento tra il datore di lavoro estero e quello italiano. È dunque sufficiente che si tratti di società tra loro formalmente autonome, non rilevando in alcun modo che le stesse appartengano al medesimo gruppo o che siano legate da un rapporto partecipativo. Nel caso concreto, posto che il requisito dell’autonomia formale delle due società risultava soddisfatto, i giudici concludono nel senso che il rientro in Italia del lavoratore costituiva una nuova assunzione e non la mera prosecuzione del rapporto lavorativo precedente. Con conseguente annullamento dell’atto e condanna dell’ufficio al pagamento delle spese di lite.