Ad oggi, però, il settore ove è stata maggiormente avvertita questa esigenza, ossia l’IVA, è foriero di numerose deroghe e opzioni, sovente frutto di compromessi politici, che certo non agevolano l’armonizzazione.
Tra le tante ricordiamo, per qual che qui interessa, l’assenza di una dichiarazione periodica IVA standard ove si è cercato, senza esito, di perseguire una convergenza politica europea.
Diversamente, però, l’esigenza di garantire un adempimento semplice e tecnologico degli obblighi fiscali relativi al commercio elettronico transfrontaliero, prima diretto poi anche indiretto, ha prodotto la prima vera e tangibile esperienza di fisco europeo “uniforme”, lo sportello unico.
I limiti dell’assenza di una dichiarazione IVA standard
Ogni anno i contribuenti comunitari inviano più di 150 milioni di dichiarazioni IVA alle rispettive Amministrazioni fiscali con gaps correlati alla disciplina interna, quali le diversità nazionali delle informazioni richieste, del formato dei moduli nazionali e delle scadenze. Questo fa sì che l’adempimento risulti particolarmente complesso e dispendioso per le imprese, soprattutto quelle che operano a livello internazionale e le PMI, causando altresì una difficoltà nel rispettare gli obblighi in materia di IVA e la concreta possibilità di incorrere in sanzioni.
L’insuccesso di un modello unionale
Constatati questi gaps la Commissione europea ha tentato di standardizzare la dichiarazione periodica IVA. Proposta quasi subito abbandonata per la mancata convergenza politica.
Il documento prevedeva, a regime, un modello infra-annuale con soltanto 5 caselle obbligatorie (ed alcune aggiuntive), quali:
1) l’imposta esigibile;
2) l’imposta deducibile;
3) l’importo netto di IVA (passivo o attivo);
4) il valore complessivo delle transazioni in ingresso;
5) le operazioni in uscita.
L’Italia prevede un modello di 23 pagine e qualche centinaio di caselle e istruzioni di 85 pagine.
Lo sportello unico
Questo sistema di definizione degli adempimenti IVA transfrontalieri permette a un operatore economico di registrarsi in un solo Stato membro e ivi presentare una dichiarazione trimestrale e il versamento dell’imposta per tutte le operazioni rilevanti nel territorio comunitario.
Un excursus storico
Il sistema è stato:
– adottato inizialmente dalle Istituzioni europee per definire gli adempimenti dei prestatori stabiliti in Paesi terzi che effettuavano servizi elettronici verso consumatori privati comunitari (c.d. VAT on E-Service);
– esteso nel 2015 anche alle imprese europee e a tutti i servizi digitali ((di telecomunicazione, di teleradiodiffusione ed elettronici) dando vita al Mini One Stop Shop;
– ulteriormente allargato, dal 1° luglio 2021, ad altri servizi B2C, alle vendite a distanza intracomunitarie di beni (c.d. One Stop Shop), ad alcune cessioni nazionali di beni (valido per i soli “fornitori presunti”) e alle importazioni di beni da territori terzi o Paesi terzi di valore intrinseco non superiore a 150 euro (c.d. Import One Stop Shop).
Prospettive: tra naturali estensioni e modifiche di sistema
Parallelamente la Commissione europea:
– nel passaggio dall’attuale regime transitorio degli scambi B2B intracomunitari a uno definitivo fondato sulla tassazione a destino ha proposto di utilizzare il sistema dello sportello unico per definire i relativi adempimenti. Proposta, comunque, in stand by nel complesso stante le perplessità di alcuni Paesi;
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Sportello unico: base tecnologica per una possibile sale tax monofase
Lo sportello unico come esaminato costituisce ad oggi una concreta (la prima) esperienza di Fisco europeo almeno da un punto di vista degli adempimenti. Nel contempo tutti i fatti umani, frutto di valutazione e scelta tra più alternative, presentano inevitabilmente dei gaps (G. Liberatore, Dal MOSS all’OSS il passo è breve, ma non è tutto oro quel che luccica, in Il Fisco, n. 28/2015).
Infatti, sicuramente per quanto attiene alla semplificazione degli auto-adempimenti fiscali lo sportello unico garantisce (almeno fino alla fase del controllo) una gradita facilità d’uso.
Diversamente il One Stop Shop per quanto attiene all’audit soffre l’assenza di un grado sufficiente di collaborazione tra lo Stato di identificazione (nonché di stabilimento se diverso) e quelli di consumo. Solidarietà transfrontaliera indispensabile in detto settore stante la perdita dell’esercizio diretto della sovranità causata da tale nuovo sistema ove bisogna fidarsi l’uno dell’altro.
Infine, una riflessione di più ampio raggio.
Lo sportello unico è stato possibile poiché la sua dichiarazione non prevede l’esercizio della detrazione. Questo diritto, presidio di neutralità per gli operatori economici, produce due conseguenze:
– complica l’adempimento tributario;
– permette delle ingenti frodi (solo le frodi dell’operatore inadempiente sono stimate in 40-60 di miliardi l’anno a fronte un VAT gap di 93 miliardi).
Inoltre, l’imposta sul valore aggiunto è un tributo sui consumi per cui si è escogitato, al momento della sua introduzione e con le tecnologie allora disponibili, un meccanismo non proprio in linea con la ratio del vero presupposto d’imposta.
Fatte queste premesse, stante l’attuale bagaglio tecnologico, perché non valutare il passaggio da un’imposta sul valore aggiunto plurifase a una monofase sulle vendite al consumo (senza il fardello della detrazione) utilizzando il regime dello sportello unico? Così si ristabilirebbe l’essenza del tributo con il suo funzionamento, ossia tassare il consumo (G. Liberatore, Disquisizioni per una transizione da una Value-added Tax ad una Sale Tax, in L’IVA, n. 8-9/2022).