Statuto del contribuente e principi dell’ordinamento tributario internazionale: i preoccupanti risvolti sul sistema delle fonti

Dopo le modifiche apportate dalla riforma fiscale, lo Statuto del contribuente include i princìpi dell’ordinamento dell’Unione europea e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, affiancandoli alle norme dell’intera Costituzione nell’indicazione delle fonti di cui costituisce attuazione. Tali modifiche portano a riconoscere l’esistenza di un processo di adattamento automatico e obbligatorio dell’ordinamento nazionale all’ordinamento europeo, che include nel suo ambito princìpi di origine giurisprudenziale e soft law. Ma sembra che i giudici di legittimità esitino a riconoscere l’applicazione all’ordinamento nazionale dei princìpi dell’ordinamento europeo e internazionale del diritto tributario, che sono da sempre latenti nel nostro ordinamento perchè il nuovo Statuto del contribuente non ha fatto che esplicitarne la portata. Ma tali principi vanno maneggiati con grande attenzione per evitare “effetti collaterali indesiderati” sul sistema nazionale delle fonti.

Dopo le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 219/2023, lo Statuto del contribuente include nell’art. 1, comma 1, i “princìpi dell’ordinamento dell’Unione europea e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, affiancandoli alle norme dell’intera Costituzione nell’indicazione delle fonti di cui costituisce attuazione. Pertanto, il suo contenuto è molto più ampio di quello dell’originaria versione dell’articolo 1, circoscritto ai soli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione.

Questi più ampi richiami assumono particolare rilievo nella rinnovata “autoqualificazione” delle norme dello Statuto non solo come “princìpi generali dell’ordinamento tributario”, ma anche come “criteri di interpretazione della legislazione tributaria”.

L’art. 4 della legge delega n. 111/2023, attuato dal D.Lgs. n. 219/2023, non prevedeva un così consistente ampliamento, ma la modifica apportata all’art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 219/2023 appare coerente con l’art. 3 della legge delega intitolato ai “Princìpi generali relativi al diritto tributario dell’Unione europea e internazionali”, che di tali “princìpi” fornisce un dettagliato elenco.
A ben vedere, l’art. 3 si limita a indicare i criteri direttivi di cui all’art. 76 della Costituzione, ma le sue indicazioni richiamano princìpi destinati a costituire parte integrante della struttura complessiva dell’ordinamento tributario nazionale.
Tra questi assumono particolare rilievo quelli elencati alle lettere a) e b), relativi ai “princìpi” e ai “livelli di protezione” dell’ordinamento europeo e alle “raccomandazioni OCSE nell’ambito del progetto BEPS”, che individuano criteri di tale ampiezza da non poter essere rivolti al solo legislatore delegato. Del resto, il richiamo ivi operato assume valore puramente ricognitivo di un principio (quello della supremazia delle norme internazionali, segnatamente di quelle unionali) che ha fondamento nell’art. 11 Cost., attuato dai Trattati europei e dalla Convenzione di Vienna del 1969 (art. 26, “pacta sunt servanda”), di cui l’ampliato art. 1, comma 1, dello Statuto non può che costituire conferma.
Anche la Cassazione (Sez. V, sentenza n. 20002/2024) ha rinvenuto nella legge delega una esplicita conferma della centralità del “sistema multilivello internazionale” nella disciplina delle fattispecie tributarie, riconoscendo che le norme nazionali, europee e internazionali fanno parte di un unico sistema di princìpi che risponde a criteri ermeneutici uniformi.
Tuttavia, l’elenco indicato dall’art. 3 della legge delega menziona casi aventi contenuti diversi e riferiti a fonti appartenenti a ordinamenti e livelli gerarchici diversi. Inoltre, la norma in questione dà prescrizioni che solo in minima parte sono comprese tra i “princìpi dell’ordinamento dell’Unione europea e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo” indicati dal nuovo art. 1, comma 1, dello Statuto, ma che riguardano: a) la revisione della disciplina della residenza e della stabile organizzazione al fine di renderla coerente, da un lato, “con la migliore prassi internazionale” e, dall’altro, “con le convenzioni sottoscritte dall’Italia”; b) obblighi di recepimento già previsti dall’art. 288 TFUE; c) misure dirette a dare maggiore competitività al sistema fiscale, nel rispetto dei “criteri previsti dalla normativa dell’Unione europea”; d) l’attuazione delle “raccomandazioni predisposte dall’OCSE nell’ambito del progetto BEPS”; e) misure di razionalizzazione di un particolare settore (CFC).

Questo composito elenco non può che rispondere, però, ad un unico criterio generale: riconoscere nell’ordinamento nazionale la supremazia dell’ordinamento dell’Unione europea e delle norme internazionali. Correttamente, pertanto, il nuovo art. 1, comma 1, dello Statuto si è fatto latore di tale criterio ispiratore, elevandolo a modello di riferimento e parametro di interpretazione dell’intera legislazione tributaria.

Le modifiche apportate dalla riforma ai princìpi generali dello Statuto del contribuente portano, dunque, a riconoscere l’esistenza di un processo di adattamento automatico e obbligatorio dell’ordinamento nazionale all’ordinamento europeo, che include nel suo ambito anche princìpi di origine giurisprudenziale, come interpretati ed integrati dalla Commissione con strumenti di “coordinamento fiscale” riconducibili all’istituto della “soft law”.

Seguendo questa strada, l’ordinamento italiano si avvicina sempre di più a quelli di matrice anglosassone, delineando un nuovo quadro delle fonti che include in misura consistente il precedente giudiziario.

Questo quadro, tuttavia, è foriero di preoccupanti risvolti.

Secondo una recente giurisprudenza della Cassazione (sentenza n. 14025/2024), alcune circolari, non avrebbero natura meramente interpretativa ma sarebbero “idonee a completare il precetto di rango primario con l’inserimento di una normativa di dettaglio, come tale vincolante in virtù dello stesso rinvio contenuto nella legge”). Pare dunque emergere (su basi giurisprudenziali) una nuova figura di delega legislativa (peraltro attribuita non al Governo con le garanzie dell’art. 76 Cost., ma al Direttore dell’Agenzia delle Entrate), che appare totalmente estranea al principio della riserva di legge e alle regole in materia di gerarchia delle fonti esistenti nel nostro ordinamento. La forzatura è evidente.

Sembra, inoltre, che i Giudici di legittimità anche dopo l’entrata in vigore delle modifiche allo Statuto, esitino a riconoscere l’applicazione all’ordinamento nazionale dei princìpi dell’ordinamento europeo, rilevando (ordinanza n. 7829/2024), una “discrasia tra principio unionale e giurisprudenza nazionale” sul contenuto e sui limiti della “prova di resistenza” nel contraddittorio endoprocedimentale, che non avrebbe ragione di sorgere ove si facesse ricorso al principio della supremazia del diritto europeo.

Quanto detto dimostra che i princìpi europei e internazionali del diritto tributario sono da sempre latenti nel nostro ordinamento e il nuovo Statuto del contribuente non ha fatto che esplicitarne la portata. Ma vanno maneggiati con grande attenzione per evitare “effetti collaterali indesiderati” sul sistema nazionale delle fonti.

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