In linea generale l’attività di recupero da parte dell’Agenzia delle Entrate per
indebito ricorso all’istituto del
superbonus si indirizza nei confronti del solo contribuente (
art. 121, comma 5, D.L. n. 34/2020): l’estensione della responsabilità al terzo cessionario può aversi solo in due ipotesi, ossia in caso di utilizzo del credito d’imposta “in modo irregolare” o “in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto” (art. 121, comma 4), ovvero qualora si sia “in presenza di concorso nella violazione” commessa dal contribuente (art. 121, comma 6).
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Responsabilità del terzo cessionario per utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore al dovuto
Può essere interessante analizzare i profili di rilevanza penale che possono aversi nel caso in cui il contribuente non utilizzi direttamente il superbonus detraendolo nella propria dichiarazione, ma ceda il relativo credito al proprio fornitore (operando lo sconto in fattura) ovvero a terzi.
Le ipotesi di utilizzo del credito in modo irregolare o in misura maggiore rispetto a quello ricevuto configurano un errore nell’utilizzo del medesimo da parte del cessionario piuttosto che una disfunzione nell’iter di maturazione del credito: il cessionario può utilizzare il credito in compensazione orizzontale per pagare altre imposte e tributi oppure può ulteriormente cedere il credito a terzi (possibilità, lo si rammenta, prevista in modo inedito proprio dalla disciplina sul superbonus).
L’ulteriore cessione del credito a terzi tecnicamente non rappresenta un vero e proprio “utilizzo” del credito da parte del cessionario bensì un’ulteriore cessione dell’intero importo del credito non essendo questo frazionabile in cinque quote.
Diversamente, in caso di utilizzo (appunto, irregolare o eccedente il dovuto) del credito d’imposta in sede di
modello F24 si possono configurare profili di rilevanza penale nei termini di un’
indebita compensazione ex
art. 10-quater,
D.Lgs. n. 74/2000.
Si rammenta che nel caso in cui l’indebito uso oltre la soglia annua concerne crediti non spettanti, il comma 1 dell’art. 10-quater, D.Lgs. n. 74/2000 prevede la reclusione da 6 mesi a 2 anni mentre se l’indebito utilizzo oltre la predetta soglia annua concerne crediti inesistenti, il comma 2 di tale disposizione prevede la reclusione da 1 anni e 6 mesi a 6 anni.
L’
utilizzo “
irregolare” del credito dovrebbe coinvolgere quelle ipotesi di utilizzo non corretto di un credito realmente maturato: per chiarire il concetto, si rimanda all’ipotesi di un utilizzo del credito superbonus in violazione dell’obbligo di frazionamento quinquennale dell’agevolazione fiscale prevista dal D.L. n. 34/2020 che integra l’ipotesi di indebita compensazione mediante crediti non spettanti, di cui all’art. 10-quater, comma 1, D.Lgs. n. 74/2000: difatti, proprio a tale norma incriminatrice devono ricondursi, secondo la giurisprudenza, simili ipotesi di incorretto utilizzo di un credito d’imposta esistente. Sul tema la sentenza della
Corte di Cassazione, sez. III, 7 luglio 2015, n. 36393 stabiliva che, per credito non spettante si intende quel credito che, pur certo nella sua esistenza e nell’ammontare, sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile (ovvero non più utilizzabile) in compensazione: nel caso di specie, la patologia atteneva al fatto che il contribuente aveva utilizzato in compensazione un credito d’imposta esistente, ma il cui utilizzo era consentito dall’ordinamento solo nell’ambito di un successivo periodo d’imposta.
Viceversa, nell’ipotesi in cui il
terzo cessionario utilizzi in
compensazione un
credito d’imposta superiore rispetto a quello ricevuto, potrebbe in linea teorica ritenersi che egli stia utilizzando un credito in parte inesistente potendo ciò rilevare ai fini del più grave reato di
indebita compensazione mediante crediti inesistenti ex art. 10-quater, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000, sempre che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (le
sentenze della Corte di Cassazione Civ., Sez. Trib., 16 novembre 2021, n. 34444 e n. 34445 hanno affermato che per
credito inesistente deve intendersi “il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo -cioè il credito che non è “reale”- e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972”), l’inesistenza non sia riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria, ipotesi nella quale si ricadrebbe altrimenti in un caso di mera non spettanza: ciò, a dire il vero, pare situarsi comunque su un piano più che altro teorico, perché, per quelli che sono i meccanismi di funzionamento della piattaforma dei crediti d’imposta gestita dall’Agenzia delle Entrate non sembra praticamente possibile compilare i campi di utilizzo del credito con importi superiori a quelli che il sistema ha memorizzato nel proprio portafoglio crediti.
Arresto delle Sezioni Unite civili
A suggello di quanto fin qui affermato si rimanda a quanto statuito dalla sentenza delle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione sezione civile n. 34419/2023, sulla distinzione, anche ai fini penali, tra
crediti d’imposta non spettanti e
crediti d’imposta inesistenti: con la sentenza depositata l’11 dicembre 2023 le Sezioni Unite si sono pronunciate in tema di crediti inesistenti e crediti non spettanti, ponendo fine al contrasto giurisprudenziale in ordine alla corretta disciplina da applicare. Al riguardo, hanno stabilito che in tema di compensazione di crediti o eccedenze di imposta da parte del contribuente, all’azione di accertamento dell’erario si applica il più lungo termine di otto anni, di cui all’
art. 27, comma 16,
D.L. n. 185/2008, quando il
credito utilizzato è
inesistente, condizione che si realizza quando ricorrono congiuntamente i seguenti
requisiti:
a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi ovvero quando è pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo;
b) l’inesistenza non è riscontrabile con i controlli automatizzati.
Negli altri casi il credito deve considerarsi come non spettante e si applica il termine ordinario per l’attività di accertamento.
Le Sezioni Unite valorizzano, quindi, il dato letterale dell’
art. 13,
D.Lgs. n. 471/1997 che definisce il credito inesistente quale credito “in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli
artt. 36-bis e
36-ter del
DPR n. 600/1973 e all’
art. 54-bis del
DPR n. 633/1972” e definiscono il credito non spettante come un’eccedenza o un credito d’imposta utilizzato in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo. Trattasi di una categoria residuale, in cui rientrano tutti i casi che non ricollegabili al credito inesistente.
La stessa Corte di legittimità precisa che la distinzione tra credito inesistente e credito non spettante ha un carattere strutturale e trae il suo fondamento logico giuridico dal complessivo sistema ordinamentale tributario: l’inesistenza ha un carattere obiettivo mentre la non spettanza ha un carattere dinamico ancorato al presupposto dell’esistenza del credito.
Ulteriormente viene precisato che in caso di utilizzo di un credito che poi si estingue, un nuovo utilizzo dello stesso integra la fattispecie del credito inesistente (non potendosi considerare perciò quale credito non spettante), proprio perché sono venuti meno i presupposti costitutivi dello stesso credito.
Quindi, il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti:
a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo;
b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter, D.P.R. n. 600/1973 e all’art. 54-bis, D.P.R. n. 633/1972.
Ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano le sanzioni previste dall’
art. 13, comma 1,
D.Lgs. n. 471/1997 ovvero dall’art. 13, comma 4 del D.Lgs. n. 471/1997 come modificato dal
D.Lgs. n. 158/2015 qualora
ratione temporis applicabile.
Sul tema deciso dalle Sezioni Unite civili, la
Corte di Cassazione, sezione III penale, con la sentenza n. 6/2024 depositata il 2 gennaio 2024
si è posta in contrasto con i recenti arresti delle Sezioni unite n. 34419 e n. 34452 e con altre pronunce della Suprema Corte motivando che la nozione di credito inesistente ai fini penali è ben più ampia di quella amministrativa. La conseguenza di questo divergente orientamento determinerebbe che alcune indebite compensazioni ai fini tributari siano considerate non spettanti mentre ai fini penali integrerebbero il più grave reato di credito inesistente tanto da comportare la reclusione fino a sei anni.
Secondo i giudici di legittimità penale la definizione in questione, desumibile dall’
art. 13,
D.Lgs. n. 471/1997, è applicabile soltanto agli illeciti amministrativi, mentre, ai fini penali, risulterebbe del tutto irrilevante la condizione di non riscontrabilità della violazione mediante liquidazione delle dichiarazioni con procedure automatizzate o mediante controllo formale delle dichiarazioni, cioè a dire le modalità attraverso cui la violazione potrebbe essere individuata. Per i giudici della terza sezione penale la nozione di credito non spettante/inesistente, introdotta con il D.L. n. 158/2015 solo ai fini tributari, costituisce la prova dell’irrilevanza penale di tale previsione.
Tuttavia, questo contrasto giurisprudenziale potrebbe essere sorto solamente per un disallineamento temporale: il collegio della Terza sezione penale, durante l’udienza svoltasi il 14 novembre 2023, poteva non essere a conoscenza delle decisioni delle Sezioni unite, depositate l’11 dicembre 2023 e lo si può presumere dal fatto che non vi sia alcuna menzione nella sentenza della Terza sezione penale l’orientamento delle Sezioni unite. Se così non fosse, illeciti ritenuti poco gravi ai fini tributari (crediti non spettanti), potranno configurare una fattispecie penale sanzionata invece in modo particolarmente severo.
Responsabilità del terzo cessionario per concorso nella violazione del contribuente
L’altra possibile
fonte di responsabilità per il terzo cessionario potrebbe essere quella di cui all’
art. 121, comma 6,
D.L. n. 34/2020 ove si configura un
concorso nella
violazione del contribuente: tale fattispecie si discosta da quella fino a qui analizzata ove ciò che rileva è che il credito da superbonus fosse stato correttamente ottenuto dal contribuente, perché si ipotizza che sia stato il contribuente a commettere una violazione e il cessionario del credito possa essere soggetto concorrente.
In tali casi, il contribuente può incorrere alternativamente nella responsabilità per
dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all’
art. 3,
D.Lgs. n. 74/2000 (qualora operi la detrazione nella propria dichiarazione) ovvero nell’
indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex
art. 316-ter c.p. (qualora opti invece per la cessione del credito).
Tuttavia è bene rilevare che l’art. 121, comma 6, D.L. n. 34/2020 non fornisce alcuna definizione del concetto di “concorso nella violazione” del contribuente e pur in presenza degli elementi strutturali del concorso di persone nel reato sarà necessario approfondire la concreta possibilità che il terzo cessionario abbia contribuito sul piano materiale o morale alla commissione dell’illecito del contribuente nonché la concreta possibilità per il terzo cessionario di rappresentarsi l’illiceità della pratica di superbonus istruita dal contribuente.
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