È finalmente arrivata la comfort letter della Commissione UE, con la quale viene dichiarata la compatibilità con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato delle misure fiscali previste dal nostro Legislatore nell’ambito dell’organica riforma del Terzo Settore. Si tratta di un passaggio storico: per le implicazioni che ne conseguono sul piano sistematico e per l’impatto operativo: la possibilità di dare piena attuazione, dal 1° gennaio 2026, alla riforma italiana, facendola diventare, per molti aspetti, un modello innovativo di riferimento del quale, anche nelle loro prossime e rilevanti scelte, i singoli operatori è auspicabile sappiano cogliere i tratti caratteristici e, quindi, le opportunità.
Dopo una lunga attesa (e smentendo le infauste previsioni di qualche commentatore su quale ne sarebbe stato l’esito), è giunta la
comfort letter della
DG Competition della Commissione UE, con la quale viene dichiarata la
compatibilità con la
disciplina comunitaria in
materia di aiuti di Stato delle
misure fiscali previste dal nostro Legislatore nell’ambito dell’organica
riforma del Terzo Settore. Si tratta di un passaggio che, specie per come la medesima Direzione giustifica la propria posizione, non è eccessivo definire “storico”: a) per un verso, per le
implicazioni che ne conseguono sul piano sistematico e, b) per l’altro, per l’
impatto operativo della (dal 1° gennaio 2026)
entrata in vigore delle norme fiscali dirette a regolare la qualificazione tributaria e gli effetti impositivi delle attività degli ETS.
Sotto il primo (rilevantissimo) profilo, è significativo considerare il chiaro percorso argomentativo seguito in sede UE, precipuamente basato sulla
insussistenza del
presupposto dell’
imposizione sul reddito, costituito dal “possesso” dello stesso, laddove questo, quale ricchezza novella prodotta per il tramite dell’esercizio di una attività imprenditoriale, è destinato al
perseguimento di un’
attività di
pubblica utilità, piuttosto che alla remunerazione del capitale di rischio investito nella stessa. Il che, in coerenza con i principi già affermati dalla stessa Corte di giustizia UE (nella
sentenza 8 settembre 2011, cause riunite C-78/08 e C-80/08, Paint Graphos, infatti, espressamente richiamata), giustifica la
misura fiscale di favore, perché riferita ad una dinamica organizzativo-funzionale dell’impresa diversa da quella “ordinaria” che, per sua natura, opera sul mercato con un programma gestorio indirizzato a sostenere il lucro individuale del soggetto nel cui interesse viene condotto.
Poche e precise considerazioni che identificano, nel quadro degli assetti propri dell’economia sociale, una decisa evoluzione dell’approccio comunitario, non più vincolato ad una logica strettamente “mercantilistica”, ma che prende atto della circostanza fattuale per cui è corretto giustificare misure fiscali che favoriscono non solo le attività, come i servizi sociali, che non operano su un mercato, ma anche quelle che, allo stesso, si rivolgono producendo, però, beni e servizi a sostegno dell’interesse generale e che sono gestite, non solo secondo logiche di indisponibilità della ricchezza prodotta, ma anche con l’adozione di modelli organizzativi connotati da (ben comprensibili) vincoli in punto di trasparenza, di rendicontazione e di governance.
In questa prospettiva, il riferimento all’assenza del presupposto è corretto e lungimirante. Se della
ricchezza prodotta è, di fatto,
titolare (per la sua ineludibile destinazione) la
collettività, non v’è un “possesso” che identifichi un riferimento soggettivo (individuale) di misurazione della forza economica funzionale alla contribuzione alle spese pubbliche, perché, mi si perdoni la assoluta semplificazione, essa stessa (ricchezza prodotta a sostegno dell’interesse generale) è “già dello Stato”, costituendo una modalità (indiretta) di concorso alle medesime. Una ricostruzione, invero, già valorizzata dalla nostra Corte costituzionale che, nella
sentenza n. 131/2020, proprio riferendosi agli assetti della riforma del
Terzo Settore, aveva sottolineato la circostanza per cui quest’ultimo rappresenta una
categoria costituzionale a sé stante, dotata di un proprio statuto, nel quale operano soggetti (gli ETS, per l’appunto) che, per come sono disciplinati, per gli obiettivi che gli sono assegnati e per i vincoli (normativi) al loro agire, identificano una
modalità organizzativa delle
“libertà sociali” non riconducibile né allo Stato, né al mercato, ma a quelle forme di solidarietà che, in quanto espressive di una relazione di reciprocità, devono essere ricomprese “tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente”. Insomma, enti che, grazie anche alla specifica disciplina dei loro rapporti con la PA (
art. 55 del
Codice del Terzo Settore – CTS),
realizzano una forma di amministrazione condivisa, alternativa a quella del profitto e del mercato e attuativa del principio di sussidiarietà orizzontale indicato dall’
art. 118, comma 4, della Costituzione.
La qualcosa, nella prospettiva, rilevante in sede UE, delle correlate implicazioni in termini di (possibile) alterazione (grazie alla misura tributaria) della concorrenza, ben si coordina con l’idea, valorizzata nella comfort letter, per cui, anche quando entrambi svolgono una attività economica rivolta al mercato, lo status dell’ETS (per i vincoli giuridico-organizzativi che lo connotano e per come lo stesso, sotto il profilo fattuale, imposta e conduce detta attività, nel senso si qui indicato) è ben diverso da un qualsiasi soggetto for profit, rendendo così l’aiuto fiscale (meglio sarebbe dire, lo specifico regime impositivo) “non selettivo”.
Venendo agli
aspetti operativi, la
comfort letter segna, di fatto, e pur all’esito di un percorso attuativo che dovrà essere rapidamente definito, l’operatività di tutte le disposizioni che, nel CTS e nella disciplina dell’impresa sociale (segnatamente nell’
art. 18 del
D.Lgs. n. 112/2017), erano subordinate al vaglio comunitario. In primo luogo, assumeranno
definitiva centralità le previsioni recate dall’
art. 79 dello stesso
CTS che diverrà il riferimento per la
verifica della natura commerciale o non commerciale delle
attività di interesse generale poste in essere dall’
ETS e, quindi e correlativamente, per la sua complessiva qualificazione al riguardo. Inoltre, saranno
finalmente fruibili i meccanismi di
determinazione forfetaria del
reddito d’impresa prodotto dagli
enti che
svolgono in via marginale una
attività commerciale, con il particolare favore riconosciuto, al riguardo, alle organizzazioni di volontariato (
ODV) e alle associazioni di promozione sociale (
APS). Ma, e per certi versi soprattutto, potrà
affermarsi il
modello dell’impresa sociale che, invero, costituisce la massima espressione dell’idea, che ha guidato, quanto all’approccio tributario, l’intera riforma oggi attuabile, secondo la quale l’
attività di impresa deve essere il
centro di produzione di una
ricchezza necessaria a
sostenere settori di
tutela degli interessi generali, anche come bilanciamento della forte penalizzazione cagionata dal deperimento tanto delle risorse pubbliche ai medesimi destinabili, quanto del sostegno (meramente) liberale dei soggetti privati. Del pari, sin da ora, si concretizzeranno, per i singoli operatori,
scelte sfidanti. Come quella delle
ONLUS, per le quali (anche alla luce di indicazioni che si spera verranno individuate in tempi rapidi) dovrà ipotizzarsi il passaggio dalla disciplina del
D.Lgs. n. 460/1997 al sistema del Terzo Settore. O come quella degli
enti sportivi, per i quali si concretizzeranno le valutazioni (anche di mera convenienza fiscale) tra il restare soggetti alla disciplina “ordinaria” (essenzialmente riconducibile alle previsioni della
legge n. 398/1991) o diventare, a seconda del diverso modello organizzativo (ASD o SSD), ETS o imprese sociali.
Valutazioni e scelte che, se sino a questo momento erano state procrastinate perché “non c’è l’autorizzazione UE” (o, per alcuni, siccome, “tanto l’autorizzazione UE non arriverà”) ora diventano impellenti, potendo confidare su un quadro di riferimento chiaro del quale, anche gli originari detrattori, è auspicabile inizino a valorizzare la (a tratti) rivoluzionaria portata innovativa.
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