Testi Unici della riforma fiscale vs Codice tributario: qualche considerazione va fatta

La pubblicazione delle bozze dei Testi Unici della riforma fiscale suscita grande interesse, in quanto si tratta del primo passo verso la creazione di un Codice tributario, che sarà pronto, a stare alla legge delega n. 111/2023, dopo che sarà completata l’emanazione dei decreti delegati di riforma dell’ordinamento tributario. In sostanza, il riordino dell’esistente, attraverso Testi Unici meramente compilativi (ma in realtà, come si vedrà, se si riordina qualcosa certamente si innova), precede, o per meglio dire accompagna, la decretazione delegata in corso, così che le modifiche sostanziali potranno confluire in un corpus normativo già riordinato.
Va giudicata molto positivamente (così anche Andrea Giovanardi, in un recente articolo “Testi Unici e Codice tributario, una strada da percorrere con convinta determinazione” pubblicato su IPSOA Quotidiano il 14 marzo 2024) l’apertura al pubblico degli addetti ai lavori, che potranno, per circa due mesi, formulare osservazioni e proposte di modifica partecipando alla consultazione pubblica aperta sul sito dell’Agenzia delle Entrate. La quale ha svolto il ruolo di preparazione delle bozze, confermando così, ove mai ce ne fosse bisogno, di aver sostanzialmente sostituito anche nella produzione (oltre che nell’interpretazione) delle norme il Ministero, andando ben oltre quei compiti di braccio operativo che sembravano limitarne l’operatività nella logica della riforma del 1999 che creò le Agenzie fiscali.
Ci si chiede se la diffusione delle bozze di Testi Unici indichi la sospensione, per il momento, della decretazione delegata. Infatti, esse tengono conto anche dei decreti in corso di pubblicazione e attualmente all’esame “consultivo” del Parlamento, ma non possono essere definite come testi normativi vigenti (sono, appunto, solo bozze); i decreti delegati di prossima uscita, quindi, dovranno modificare i testi ancora oggi in vigore. Poiché tra le bozze di Testo Unico vi è ad es. quello dedicato all’IVA, ci si chiede se la sua diffusione indichi che per il momento la delega sull’importante riforma di tale imposta sia da ritenere non attuabile, nonostante nel mese di settembre 2023 la Commissione di studio abbia lavorato concordando un testo con riforme, formulate presumibilmente con riguardo al testo del vigente D.P.R. n. 633 del 1972.

Si diceva della difficoltà di considerare meramente compilativo un lavoro che, anche sulla base della delega, non si limita a giustapporre i testi vigenti chiarendo le disposizioni non più in vigore, ma procede ad una risistemazione che non può non presentare profili di opinabilità: il compito degli addetti ai lavori, in sede di osservazioni e di proposte di modifica delle bozze, non sarà solo quello di verificare la congruenza dei testi e la fedeltà all’ordito normativo esistente, tenendo conto delle disposizioni non più attuali, ma anche, e forse soprattutto, quello di suggerire, quando sia opportuno, una collocazione delle varie tematiche diversa da quella proposta nelle bozze. Il che potrebbe comportare una faticosa opera di revisione dei rinvii tra le singole disposizioni (oltretutto complicata dal sopravvenire dei decreti delegati) e induce a chiedersi se non fosse preferibile che almeno la struttura (l’indice, se vogliamo) dei Testi Unici venisse aperta al contributo di tutti prima della diffusione delle bozze per essere condivisa.

Qualche esempio.

Le ritenute, attualmente collocate nel decreto sull’accertamento, perché la loro funzione è essenzialmente quella di tracciare l’erogazione di un reddito, saranno collocate nel Testo Unico delle disposizioni sulla riscossione; ma la ritenuta (salvo la ritenuta diretta, che però è altra fattispecie), in sé, non è una modalità di riscossione (lo è il successivo versamento da parte del sostituto).

Una delle linee di fondo della risistemazione è la separazione delle norme sostanziali sul tributo da quelle relative ad accertamento, controlli e riscossione. In alcuni casi, però, la separazione conduce a risultati discutibili, ad esempio per IVA, tributo di registro, tributi minori.

Nell’IVA, il criterio ha infatti condotto all’espulsione dal testo regolatore dell’imposta delle norme sulla fatturazione, sugli altri adempimenti, sui rimborsi. La separazione non pare condivisibile, perché nell’IVA il meccanismo applicativo è parte integrante delle regole sostanziali, sono gli adempimenti ad assicurare l’esercizio della rivalsa e della detrazione: basti pensare alle note di variazione, che, pur essendo correzioni della fatturazione, hanno in realtà un’incidenza sostanziale sui rapporti di debito credito e costituiscono una sorta di modalità di (auto)rimborso. Non convince la collocazione e soprattutto non sembra utile a semplificare il lavoro degli operatori.

Stessa osservazione per l’imposta di registro, per la quale separare gli obblighi di registrazione (ad es. la denuncia di atti successivi alla registrazione) dalla parte sostanziale ha un effetto dispersivo rispetto ad una struttura dell’imposta che rende preferibile, e anche più semplice, la collocazione anche degli adempimenti – per lo meno, dei principali – in un unico testo normativo.

Anche la disciplina dei tributi minori, adeguandosi alla separazione tra parte sostanziale e attività di accertamento, risulta eccessivamente frammentata e in qualche caso dà luogo ad accostamenti fuorvianti (ad es., l’IVIE e il “bollo” sulle attività finanziarie, che sono imposte di carattere patrimoniale, sono accostati nel testo unico sulle imposte indirette all’imposta di bollo “tradizionale” che ha tutt’altra natura).

Nelle imposte sui redditi, ad esempio, tra le disposizioni comuni è inserita quella sulla deducibilità dell’IMU, che però riguarda soltanto redditi d’impresa e da arti e professioni.

Sono soltanto esempi di scelte sistematiche di un certo impatto, sulle quali sarà bene riflettere anche sotto il profilo della facilità di “gestione” dei testi normativi da parte degli addetti ai lavori. Isolare tutte le disposizioni sull’accertamento avrebbe più senso se emergessero profili comuni tali da condurre, in sede di Codice, ad una sintesi di regole generali che però non sono prefigurabili tra imposte con meccanismi tanto diversi tra loro. E allora è da chiedersi se non sia preferibile prendere atto che poche regole comuni sull’accertamento possono trovare sede solo in un testo di principi, quale lo Statuto dei diritti del contribuente.

Qualche considerazione finale sul Codice, punto di approdo di questa riforma fiscale ambiziosa, che tuttavia non può dirsi espressione di una visione complessivamente originale e innovativa della struttura dell’ordinamento.

Ha ragione Giovanardi, nella sua ampia e profonda analisi già citata, nel porre la questione della stabilità del futuro Codice: la forma nella quale le leggi tributarie saranno raccolte, infatti, non rappresenta una garanzia di stabilità, se il legislatore non riterrà essenziale rispettare il Codice, pur nella necessità di modificarne i contenuti; a meno che non si faccia un passo avanti costituzionale, assegnando, ad una legge di principio sui tributi, una funzione di norma interposta, gerarchicamente superiore alle leggi ordinarie e approvata con maggioranze qualificate.

Non condivido invece il rapporto che Giovanardi individua tra funzione redistributiva del tributo (alla quale si dichiara contrario) e instabilità della normativa. A parte il fatto che la funzione redistributiva del tributo è assunta dalla Corte costituzionale quale elemento portante del sistema, nella misura in cui il concorso alle pubbliche spese è considerato espressione di doveri inderogabili di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., se anche volessimo considerare il tributo quale mero mezzo di finanziamento delle spese pubbliche la garanzia di stabilità della normativa non sarebbe assicurata, posto che le esigenze finanziarie impongono continuamente manovre e interventi anche immediati e d’urgenza.

Non vi è a mio avviso alcuna relazione di causa effetto tra funzione redistributiva e instabilità del futuro Codice: perché quest’ultimo sia veramente stabile, occorrerà limitarne i contenuti, circoscrivendoli alle norme di principio – soprattutto sul rapporto fisco-contribuente. La scelta di assegnare al tributo una funzione redistributiva, così come vuole il diritto costituzionale vivente, non ha come controindicazione l’instabilità della normativa e la precarietà del futuro Codice, che sono effetto di un disordine consolidato nel modo di produrre le leggi, a prescindere dalla funzione del tributo.

Concordo invece con Giovanardi sulla necessità di porre un argine deciso alla proliferazione di agevolazioni e disposizioni di vantaggio che tolgono trasparenza al sistema tributario, costringendo poi il legislatore a mantenere aliquote nominali molto elevate, destinate ad applicarsi solo agli esclusi dai regimi agevolativi; ma questo fenomeno, che caratterizza, pur nell’alternarsi dei Governi, la legislazione tributaria da almeno quindici anni, non ha alcun punto di contatto con la redistribuzione, che anzi ne risulta anch’essa sacrificata, avendo molte di quelle agevolazioni un effetto regressivo.

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