Testo Unico della Giustizia tributaria. Nihil sub sole novi!

Dalla lettura del Testo Unico della giustizia tributaria si rileva la pedissequa (e, in qualche tratto financo pasticciata) riproposizione delle “normicciuole” ultimamente partorite dal combinato disposto di MEF e Agenzia delle Entrate; non si è tenuto minimamente conto delle criticità evidenziate dai veri operatori della giustizia tributaria, studiosi, esperti, giudici tributari tuttora in funzione o in via di pensionamento. Che dire? Tutto è rimasto immutato, salvo la diversa numerazione. In questa situazione non c’è più spazio né voglia per ulteriori prediche.

Il celebre motto latino fotografa perfettamente lo stato di desolazione assolata che accompagna la lettura di quello che viene pomposamente salutato quale Testo Unico della Giustizia tributaria, mentre in realtà non è che la pedissequa (e, in qualche tratto financo pasticciata) riproposizione delle “normicciuole” ultimamente partorite dal combinato disposto di MEF e Agenzia delle Entrate, senza tenere minimamente conto delle criticità evidenziate dai veri operatori della giustizia tributaria, studiosi, esperti, giudici tributari tuttora in funzione o in via di pensionamento, mentre faticosamente arranca il concorso per i magistrati tributari veri e propri, anche se a limitato futuro servizio (stante il loro inibito accesso al terzo grado).

In questa situazione non c’è più spazio né voglia per ulteriori prediche.

Per parte nostra, si è data una sbirciata alle criticità variamente segnalate a proposito del comma 6-bis del novellato art. 14 del D.Lgs. n. 546/1992, degli articoli 47-47 ter e dell’art. 58 di detto novellato contesto di cui al D.Lgs. n. 220/2023, per riscontrare che tutto è rimasto immutato, salvo la diversa numerazione, occorrendo far ora capo, rispettivamente, al comma 7 dell’art. 58, agli articoli 96-98 e all’art. 112 del Testo Unico della giustizia tributaria, a valere, però, ex art. 131, dal 1° gennaio 2026.
In questa opaca e rassegnata burocratizzazione nomopoietica di bassa lega spicca, e se ne richiama di proposito, l’ancor vigile attenzione dei Lettori, l’ordinanza interlocutoria 9 luglio 2024, n. 1658 con la quale la Corte di giustizia di secondo grado della Campania, Sez. 16, pres. Clemente A., rel. Serra D’Aquino P. e coestensore Troncone F., ha rimesso alla Corte costituzionale, sollecitandone rispettosamente la trattazione con urgenza, la questione di costituzionalità dell’art. 58, comma 3, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, come inserito dall’art. 1, comma 1, lettera bb), del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220, ora costituente l’art. 112, comma 3, del Testo Unico della giustizia tributaria, applicabile però dal 1° gennaio 2026, per non manifesta infondatezza del divisato contrasto con gli articoli 3, comma 1, 24, comma 2, 102, comma 1, 111, commi 1 e 2, della Costituzione.
Al riguardo, si evidenzia come la questione di legittimità costituzionale sia stata sollevata d’ufficio, ma sostanzialmente a vantaggio dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, avendo la stessa prodotto nel giudizio d’appello dalla stessa proposto avverso la sentenza della Corte di giustizia di 1° grado di Napoli che aveva annullato una intimazione di pagamento emessa in conseguenza di cartelle di pagamento asseritamente non notificate in precedenza, ma di cui l’Agenzia delle Entrate-Riscossione aveva prodotto documenti di avvenuta notifica solo in grado d’appello, a fronte dei quali ovviamente parte contribuente aveva eccepito l’indepositabilità nel giudizio di gravame in forza di quanto disposto dall’art. 58, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992 ut supra novellato.

La questione, ampiamente motivata, e sicuramente rilevante, “rischia” di trovare favorevole accoglimento da parte della Consulta. E allora, viene proprio da domandarsi: perché il combinato disposto di MEF e Agenzia delle Entrate, a cui fa capo quale sostituto processuale l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, non ha pensato di rivedere ante tempus una norma così mal congegnata e resa per di più applicabile ai giudizi d’appello iniziati dopo il 5 gennaio 2023? C’era proprio bisogno di farsi censurare dal giudice delle leggi?

Un po’ più di attenzione alle critiche prospettate dalla dottrina non farebbe male e gioverebbe, anzi, al combinato disposto di MEF e compagnia cantante!

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