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Testo Unico giustizia tributaria: at ille murem peperit!

Testo Unico Giustizia Tributaria: At Ille Murem Peperit!
Un ulteriore giudizio, d’emblée, sul Testo unico della giustizia tributaria, destinato ad entrare nell’agognato “Codice tributario”. Non solo sono pedissequamente riportate, senz’alcun vaglio critico, le disposizioni sulla riforma del contenzioso tributario, ma neppure si è fatto il minimo sforzo di doverosi adeguamenti a quelle risalenti al D.Lgs. n 546/1992, che pur essendo di gran lunga qualitativamente superiori a quelle ultimamente fabbricate, comunque richiedevano indispensabili aggiornamenti. Ad esempio, perché tra l’“oggetto della giurisdizione tributaria”, si dice ancora che appartengono a questa giurisdizione “tutte le controversie aventi ad oggetto … il contributo per il Servizio sanitario nazionale”? Un richiamo alla favolistica greco-latina lasciataci in eredità da Esopo e Fedro è d’obbligo.
Mi è stato chiesto, con insistenza, di esprimere in piena libertà, non ostante personali riluttanze, un ulteriore giudizio, d’emblée, sul D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175, costituente il Testo unico della giustizia tributaria, in aggiunta a quanto già scritto nell’Editoriale del 3 agosto 2024 “Testo Unico della Giustizia tributaria. Nihil sub sole novi!”, ancor prima della delibera del Consiglio dei Ministri definitivamente adottata nella seduta del 29 ottobre 2024.

Nella precedente occasione si era fatto emblematico richiamo alla versione latina della Bibbia (Qohelet, 1, 9-10) per esprimere sinteticamente la manifesta inconsistenza del Testo Unico contenente la sola “pedissequa (e, in qualche tratto financo pasticciata) riproposizione delle ‘normicciuole’ ultimamente partorite dal combinato disposto di MEF e Agenzia delle Entrate, senza tenere minimamente conto delle criticità evidenziate dai vari operatori della giustizia tributaria”, sperando, allora, in qualche benefico “ravvedimento operoso” in sede di completamento legislativo. Che, tuttavia, non v’è stato, non ostante l’ulteriore transito del testo a livello governativo.

Non resta, allora, che passare, scherzosamente, ma non tanto, dal serissimo richiamo biblico, in versione latina (nihil sub sole novi) alla più lieve, ma non meno intrigante favolistica greco-latina lasciataci in eredità da Esopo e Fedro metaforicamente indirizzata a chi si vanta di grandi cose, ma non produce sostanzialmente nulla (“hoc scriptum est tibi qui magna cum minaris extricas nihil”), la splendida immagine del Monte che dopo grandi gemiti (“gemitus immanes ciens”) non ostante le attese di tutti (“maxima exspectatio”), alla fin fine aveva generato nient’altro che un topo.

A questa favoletta, intrisa di somma saggezza, troppo spesso dimenticata, chi scrive, nella un po’ troppo lunga carriera di cronista di queste vicende processualtributaristiche, ha già avuto occasione di attingere facendovi richiamo (G.T. – Riv. giur. trib., 2005, 8, 720 ss.; Corr. giur., 2014, 10, 1248 ss.) con riferimento, però, alla Suprema Corte, mentre, nel caso, il Mons partoriente sembrerebbe doversi (faticosamente) allocare in una strana compagine più o meno istituzionalizzata che appare, più che una montagna, un’assai modesta collinetta di bassa quota, i cui gemiti non sono stati propriamente immani, ma il cui prodotto, questo sì, ben si addice al “topo” di questa splendida favoletta.

A riprova dell’appropriato accostamento valga, per tutte, questa semplice annotazione.

Nel testo legislativo, ultimamente consacrato, destinato ad entrare nell’agognato “Codice tributario” prefigurato dalla legge n. 111/2023, non solo, come già si era osservato, sono pedissequamente riportate senz’alcun vaglio di rassegnate criticità, le disposizioni ultimamente decretate sulla riforma del contenzioso tributario (D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220). Neppure si è fatto il minimo sforzo di qualche doveroso adeguamento a quelle risalenti al D.Lgs. n 546/1992, che pur essendo di gran lunga qualitativamente superiori a quelle ultimamente fabbricate, comunque richiedevano ratione temporis indispensabili aggiornamenti.
Ebbene, del nuovissimo D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175 (le cui disposizioni, pur essendo già entrato in vigore, “si applicano dal 1° gennaio 2026”), all’art. 46, ove si definisce l’“oggetto della giurisdizione tributaria”, si dice ancora che appartengono a questa giurisdizione “tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale”. Senza tener conto che l’inserimento del contributo per il Servizio sanitario nazionale in questo contesto a suo tempo giustamente perorato dall’attuale viceministro dell’Economia, quando questo contributo era ancora in vita e si discuteva se dovesse o meno rientrare nell’ambito della giurisdizione tributaria, già non c’era più allorquando l’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992 venne finalmente sostituito dall’art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, in vigore dal 1° gennaio 2002. Fu, all’epoca un lapsus perdonabilissimo di fronte allo storico risultato nomopoietico finalmente consacrato della sancita unitarietà della giurisdizione tributaria. Ma, a distanza di oltre quattro lustri, costava tanto cancellare quest’ormai anacronistico balzello, che rischia così di perpetuarsi quale fastidioso retaggio di una trascuratezza legislativa che, diciamolo pure, la nostra “Patria”, culla, così una volta si diceva, del diritto, davvero non merita?!

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