Trasferimenti di residenza fiscale in Italia: cosa cambia e a quali condizioni

È bene premettere che il legislatore ha voluto innanzitutto riformare tale materia al fine, tra gli altri, di adeguare i principi dell’ordinamento tributario nazionale ai livelli di protezione dei diritti stabiliti dal diritto dell’Unione europea; garantire la revisione della disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche, delle società e degli enti diversi dalle società come criterio di collegamento personale all’imposizione, al fine di renderla coerente con la migliore prassi internazionale e con le convenzioni sottoscritte dall’Italia per evitare le doppie imposizioni, nonché coordinarla con la disciplina della stabile organizzazione e dei regimi speciali vigenti per i soggetti che trasferiscono la residenza in Italia; e promuovere l’introduzione di misure volte a conformare il sistema di imposizione sul reddito a una maggiore competitività sul piano internazionale.

Tale necessità di adeguamento e coordinamento deriva, in parte, dal fatto che spesso sorgevano alcune problematiche in sede di applicazione della normativa nei confronti di soggetti con patrimoni/attività estere o localizzati per una parte dell’anno all’estero.

Come determinare la residenza delle persone fisiche?

Ecco che, dunque, all’art. 1 del decreto legislativo si individuano i criteri per determinare la residenza delle persone fisiche al fine di ampliare il novero dei contribuenti IRPEF.

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In particolare, si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno il domicilio o la residenza nel territorio dello Stato ovvero che sono ivi presenti.

Le novità significative riguardano, quindi, il fatto che, con la nuova formulazione, deve essere effettuato il conteggio (anche) delle frazioni di giorno ai fini del computo necessario dei giorni di permanenza nel territorio dello Stato; viene introdotto un nuovo concetto didomicilio” che si basa sul luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona (viene dunque abbandonata la rilevanza degli interessi e degli affari economico-patrimoniali) e un nuovo criterio di collegamento di natura sostanziale legato alla effettiva presenza nel territorio dello Stato; nonché il passaggio da una presunzione legale assoluta a presunzione relativa del requisito di iscrizione all’Anagrafe della popolazione residente.

Ciò significa che l’Amministrazione finanziaria può dimostrare, a seguito degli opportuni accertamenti, che un soggetto non è fiscalmente residente in Italia nonostante sia iscritto all’Anagrafe della popolazione residente.

Di conseguenza, tutti coloro che sono iscritti all’Anagrafe della popolazione residente in Italia devono accertarsi di essere in possesso anche di almeno uno degli altri requisiti prima che vengano meno la loro qualifica e gli eventuali vantaggi fiscali ad essa collegati (si pensi, ad esempio, ai soggetti che beneficiano del regime speciale ex art. 24-bis TUIR).

L’anno fiscale resta invariato

Nessun riferimento, invece, è stato inserito con riguardo allo split year: l’anno fiscale resta cioè invariato (anno solare) e i requisiti per acquisire la residenza fiscale devono essere soddisfatti per la maggior parte del periodo di imposta (183 giorni nel corso dell’anno fiscale, 184 giorni in caso di anno bisestile).

Tale previsione continua così a rendere problematici gli eventuali trasferimenti di residenza realizzati a metà dell’anno solare poiché, in queste circostanze, si può assistere alla qualifica di una doppia residenza fiscale a carico del soggetto che si trasferisce per la restante parte dell’anno.

Tanto premesso, l’operatività e l’efficacia di tali riformati criteri di individuazione della residenza fiscale delle persone fisiche saranno effettivamente messe alla prova a partire dal periodo di imposta 2024.

Le modifiche al regime degli impatriati

Quanto, invece, ai regimi speciali, l’art. 5 del decreto legislativo introduce un “nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori impatriati”, applicabile a coloro che conseguono la residenza fiscale in Italia a decorrere dal periodo d’imposta 2024.

Per effetto delle disposizioni in esame si stabilisce la detassazione IRPEF del 50% dei redditi di lavoro dipendente e assimilati, nonché i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato entro il limite di 600.000 euro al ricorrere di specifiche condizioni, tra cui l’elevata qualificazione o specializzazione dei lavoratori impatriati (ad esempio in caso di conseguimento di un titolo di istruzione superiore rilasciato da autorità competenti nel Paese dove è stato conseguito che attesti il completamento di un percorso di istruzione superiore di durata almeno triennale e della relativa qualifica professionale superiore rientrante in specifici livelli della classificazione ISTAT delle professioni).

L’ammontare della detassazione sale al 60% se il lavoratore si trasferisce in Italia con un figlio minore o in caso di nascita di un figlio ovvero di adozione di un minore di età durante il periodo di fruizione del regime (purchè anch’egli sia residente nel territorio dello Stato).

Inoltre, il legislatore ha introdotto requisiti temporali più ampi, al fine di disincentivare gli abusi riguardanti le agevolazioni in parola: i lavoratori, a decorrere dal 1° gennaio 2024, non devono essere stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il predetto trasferimento, impegnandosi a risiedere fiscalmente nel territorio dello Stato per almeno quattro anni.

Nuove regole per i lavoratori distaccati

E ancora, il legislatore ha voluto limitare, o comunque maggiormente regolamentare, l’accesso al regime per i lavoratoridistaccati”. Se il lavoratore presta la sua attività lavorativa nel territorio dello Stato in favore dello stesso soggetto presso il quale è stato impiegato all’estero prima del trasferimento ovvero in favore di un soggetto appartenente allo stesso gruppo, il requisito minimo di permanenza all’estero viene innalzato a:

– sei periodi d’imposta se il lavoratore non è stato in precedenza mai impiegato in Italia presso lo stesso soggetto oppure un soggetto appartenente allo stesso gruppo;

– sette periodi d’imposta se il lavoratore, prima del trasferimento dall’Italia all’estero, è stato alle dipendenze in Italia dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al medesimo gruppo.

Sebbene sia da apprezzare il correttivo fin qui descritto (in alternativa a una generica preclusione di accesso al regime per i lavoratori “distaccati”), non si può non rilevare che per un lavoratore di una società con più sedi nel mondo può essere concretamente difficile rientrare in tali fattispecie, vista la dinamicità territoriale che caratterizza l’attuale mercato del lavoro e specifici settori professionali.

Infine, è bene precisare che, con il nuovo regime, il legislatore ha chiuso le porte alla possibilità di svolgere, per ampi periodi, il lavoro in modalità “smart working” poiché è espressamente richiesto che l’attività lavorativa sia prestata per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio dello Stato, mentre è stata definitivamente abrogata la maggiorazione dell’agevolazione (consistente nella detassazione del 90% del reddito) per i lavoratori impatriati che si trasferiscono nelle regioni del Mezzogiorno (es. Abruzzo, Puglia).

Non si può, dunque, non constatare come tali ultime preclusioni risultino fortemente svantaggiose per coloro che si apprestano a trasferire, a partire da quest’anno, la residenza fiscale nel nostro Paese.

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