Trust: tra interposizione fiscale e nullità, cambio di rotta dell’Amministrazione. Con molti dubbi

Tra il 2021 e il 2023 l’Agenzia delle Entrate si è espressa in più di dieci occasioni sulle conseguenze (fiscali e non) dell’interposizione fiscale di un trust.

I casi potrebbero essere generalmente riassunti nella declaratoria di interposizione fiscale che colpisce quei trust in cui – in definitiva – i poteri del beneficiario o del disponente siano tali da limitare la gestione del trustee.

Non è questa la sede per analizzare le singole risposte dell’Agenzia né per indagare sugli elementi che hanno spinto l’Ufficio a ritenere, nei casi in cui si è pronunciata, i trust interposti fiscalmente.

Occorre invece, a parere di chi scrive, soffermarsi brevemente sul giro di valzer con cui l’Agenzia, all’indomani della circolare n. 34 del 20 ottobre 2022, ha mutato la propria opinione in merito alle conseguenze derivanti dalla declaratoria di interposizione in capo a un trust.

Trust e interposizione: iniziali indicazioni dell’Agenzia delle Entrate

Emblematico, a tal proposito, risulta il “trittico” formato dalle risposte a interpello n. 796 del 1° dicembre 2021, n. 359 del 4 luglio 2022 e n. 176 del 31 gennaio 2023.

Il caso è noto: un trust (padre disponente, beneficiari i figli) viene dichiarato fiscalmente interposto perché i poteri del trustee sono fortemente limitati da quelli conferiti al guardiano, consulente di fiducia della famiglia, che può essere nominato e revocato a maggioranza dai beneficiari.

Fin qui nulla di nuovo. È sui confini applicativi dell’interposizione fiscale che detti arresti di prassi fanno sorgere più di qualche dubbio.

Nella prima risposta a interpello (n. 796/2021), l’Agenzia, limitandosi alle conseguenze ai fini delle imposte dirette, affermava che se un trust non può essere considerato “validamente operante sotto il profilo fiscale […] Ciò comporta, come ribadito nella circolare n. 61/E del 2010, che i redditi formalmente prodotti dal Trust saranno assoggettati a tassazione in capo al Disponente”.

Affermata l’invaliditàsotto il profilo fiscale”, con successivo interpello, insisteva il contribuente, chiedendo lumi anche sulle conseguenze fiscali ai fini delle imposte di donazione e successione.

L’Agenzia (risposta a interpello n. 359/2022) confermava la rilevanza dell’interposizione ai soli fini delle imposte dirette, affermando che, benché interposto fiscalmente (o inesistente, inteso quale sinonimo di interposto, come peraltro indicato dalla nota circolare n. 61/E del 2010), “ai fini della presentazione della dichiarazione di successione e della determinazione della relativa imposta, […] la quota [di partecipazioni apportate in trust, n.d.r.] non debba essere ricompresa nell’attivo ereditario del de cuius […]” sul presupposto che, “sotto il profilo civilistico, le partecipazioni in questione non siano cadute in successione, ma facciano tuttora parte del patrimonio segregato nel Trust e che il Trustee risulti il titolare della predetta quota di partecipazione di socio accomandante nella Società, nel rispetto del vincolo di destinazione impresso dall’Atto istitutivo del Trust medesimo”.

Chiosava, ancor più didascalicamente, che “la circostanza che il Trust non può essere considerato validamente operante sotto il profilo fiscale, affermata nella richiamata risposta al precedente interpello, rileva ai soli fini dell’imputazione dei redditi, comportando che, come risulta dalla stessa risposta, i redditi formalmente prodotti dal Trust saranno assoggettati a tassazione in capo al Disponente”.

Ultime indicazioni dell’Amministrazione Finanziaria: cambio di parere

Successivamente veniva pubblicata la tanto attesa circolare 20 ottobre 2022, n. 34, sul trattamento fiscale dei trust, con la quale, l’Agenzia, sulla tematica in commento, forniva chiarimenti che possono essere sintetizzati come segue.

Ai fini delle imposte sui redditi, affermava che “nell’ipotesi in cui un trust è interposto formalmente nella titolarità di beni o attività (cosiddetta “interposizione fittizia”), il reddito di cui “appare titolare” il trust è assoggettato ad imposizione, per “imputazione”, direttamente in capo all’interponente”.

Ai fini delle imposte indirette, concludeva che “nell’ipotesi di decesso del soggetto disponente, tenuto conto della interposizione del trust tra i beni e i diritti che compongono l’attivo ereditario di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 sono inclusi anche quelli formalmente nella titolarità del trust, qualificato come interposto”.

Con la risposta a interpello n. 176/2023, resa ai medesimi e zelanti contribuenti, rivendendo la posizione affermata nella risposta a interpello n. 359/2022 resa qualche mese prima, l’Agenzia confermava il cambio di impostazione: un trust interposto è inesistente anche ai fini delle imposte di successione e, pertanto, i beni conferiti in trust – ancorché formalmente intestati a un soggetto diverso – rientrano nell’asse ereditario del de cuius/disponente.

Una posizione poco convincente

La conclusione, ad avviso di chi scrive, non convince né nelle premesse né nelle conclusioni.

Affermare che i beni apportati in un trust fiscalmente interposto appartengono ancora all’apportante, significa sovrapporre il concetto di “esistenza” da un punto di vista civilistico (in base alla Convenzione dell’Aja e alla legge regolatrice) con quello fiscale (che troverebbe il proprio riferimento normativo nell’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973).

Il che, a ben vedere, non è corretto almeno per due ordini di motivi.

In prima analisi, bisogna considerare che le due dimensioni (civilistica e fiscale) non necessariamente coincidono, essendo l’autonomia tributaria dei trust ormai pacifica.

Infatti, il trust è nullo, e quindi inesistente civilisticamente, ai sensi dell’art. 1418; c.c., per violazione di norme imperative.

In Italia, come noto, il trust ha fatto il suo ingresso con la Convenzione dell’Aja del 1985, che, per limitarci al tema del presente contributo, all’art. 2, afferma che: “Il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà o che il trustee abbia alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust”.

Ne consegue, dunque, che un trust ben potrebbe perseguire interessi meritevoli di tutela pur integrando alcuni dei canoni indicati dall’Agenzia delle Entrate (circolari nn. 48/2007 e 61/2010), alla luce dei quali verrebbe ritenuto fiscalmente interposto.

In sintesi, i canoni interpretativi dell’Agenzia delle Entrate potrebbero rilevare come meri indizi della nullità del trust. Nulla di più.

L’altro aspetto rilevante è che l’Agenzia non può – in autonomia – disconoscere gli effetti civili di un istituto in assenza di una norma che glielo consenta.

Se, infatti, vi è una espressa disposizione normativa che consente al Fisco di attribuire all’interponente i redditi dell’interposto (art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973, anche se, essendo una disposizione applicabile solo in fase di rettifica o accertamento, dovrebbe colpire solo le situazioni patologiche), non vi è alcuna disposizione che consenta all’Agenzia delle Entrate di equiparare l’inesistenza del trust come soggetto passivo delle imposte sui redditi all’inesistenza da un punto di vista civilistico.

Spetta, infatti, al giudice ordinario la dichiarazione di nullità del trust (art. 1414, c.c.) o di inefficacia relativa (art. 2901, c.c.), non certo all’Agenzia delle Entrate.

Se è quindi chiaro e condivisibile l’intento dell’Amministrazione finanziaria di equiparare – anche per ragioni di ordine sistematico – le conseguenze dell’interposizione sia ai fini delle imposte dirette sia a quelli delle imposte indirette, le conclusioni raggiunte non reggono e la sovrapposizione del piano civilistico con quello fiscale potrebbe portare a conseguenze difficilmente accettabili laddove, ad esempio, beneficiari ed eredi siano soggetti distinti, per non parlare della impossibilità – da un punto di vista anche pratico – di estendere sul piano civilistico dette conclusioni.

Rischi applicativi

Si pensi, ad esempio, ai beni immobili, o ai beni mobili registrati o ancora ai conti correnti apportati in trust. Nessun notaio o istituto di credito e neanche l’Ufficio del registro potrebbe mai modificare l’intestazione dei beni apportati in trust sulla scorta di una risposta ad interpello resa dall’Agenzia delle Entrate.

La (prima) applicazione concreta dei chiarimenti forniti con la circolare n. 34/2022 ha senz’altro avuto la “fortuna” di trattare un caso in cui i beneficiari coincidevano con gli eredi e che, quindi, erano sicuramente i destinatari dei beni dell’asse ereditario del de cuius/disponente. Viene quindi da chiedersi se i chiarimenti da ultimo forniti non siano stati elaborati proprio pensando a questa ipotesi (coincidenza beneficiari/eredi).

Non resta quindi che aspettare di vedere come l’Agenzia gestirà le conseguenze di un simile approdo a casi differenti.

Sul punto, quindi, si auspica un coraggioso ma quanto mai opportuno ripensamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Copyright © – Riproduzione riservata

Fonte