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Vecchi principi e nuovi criteri per un rapporto fisco-contribuente più equilibrato

Vecchi Principi E Nuovi Criteri Per Un Rapporto Fisco Contribuente Più Equilibrato
All’interno del disegno di legge delega per la riforma fiscale firmato dal Presidente della Repubblica, che approderà a giorni in Parlamento, una parte cospicua è dedicata all’intento (ambizioso ma quanto mai necessario) di riscrivere il rapporto tra fisco e contribuenti nelle varie fasi in cui questo si attua, dalle interlocuzioni preventive fino all’extrema ratio di un contenzioso fiscale. Oltre che a una serie di disposizioni contenute in altre parti della delega (quali il concordato preventivo biennale per i soggetti di minori dimensioni o il pacchetto di principi relativo alla tax compliance) tale scopo è stato affidato all’art. 4 del Ddl, rubricato “Revisione dello Statuto dei diritti del contribuente”.
L’intento sembra essere chiaro: riportare lo Statuto dei diritti del contribuente, le cui disposizioni troppo spesso sono rimaste lettera morta (si pensi solo alla disapplicazione delle sanzioni in presenza di incertezza normativa o all’eccesso di decretazione d’urgenza in materia tributaria), al centro del sistema fiscale, sfruttando i principi e i criteri già esistenti nella legge n. 212/2000, dalla certezza del diritto al legittimo affidamento, fino all’obbligo di motivazione degli atti impositivi e al diritto di interpello. E per fare ciò viene affidato allo Statuto il ruolo di legge generale tributaria di rango para-costituzionale, come un “monito” per la futura legislazione in materia tributaria.

Obbligo di motivazione degli atti impositivi

Nello specifico, l’art. 4 del Ddl prevede, ampliando l’attuale art. 7 dello Statuto, di “rafforzare l’obbligo di motivazione degli atti impositivi, anche mediante l’indicazione delle prove su cui si fonda la pretesa”.

Tale disposizione, certamente apprezzabile, appare, peraltro, una logica conseguenza di quanto previsto dal nuovo art. 7, comma 5-bis, D.Lgs. n. 546/1992, introdotto dalla legge n. 130/2022 di riforma del processo tributario – e col quale dovrà necessariamente coordinarsi – che ha attribuito all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Se è pur vero, infatti, che si tratta di concetti distinti e che operano in momenti differenti del rapporto tributario (in quanto la motivazione agisce sul piano del procedimento e la prova su quello processuale), era facile intuire che la disposizione della legge n. 130/2022, imponendo agli uffici di provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato, avrebbe di fatto generato un supplemento probatorio anche nell’atto impositivo; la delega, correttamente, altro non fa che mettere nero su bianco tale nuova osmosi di fatto fra la fase procedimentale e quella processuale, per prevenire, anche in un’ottica di “economia processuale” l’emissione di atti poco o mal motivati che non potranno che essere destinati all’annullamento in sede di giudizio.

Interpelli: una disciplina da razionalizzare

Condivisibile, ma meritevole di maggiori chiarificazioni e di una rinnovata collaborazione degli uffici finanziari, è la razionalizzazione della disciplina degli interpelli, pure prevista dall’art. 4 in commento. Se l’implementazione della “emanazione di provvedimenti interpretativi di carattere generale” al fine di ridurre il ricorso all’istituto dell’interpello, appare più uno sprone all’Amministrazione finanziaria che, complice anche la diffusa pubblicazione delle risposte a istanze di interpello, ha drasticamente ridotto il numero delle proprie circolari, certamente da meglio chiarire è la rigida previsione di un “divieto di presentazione di interpelli riservandone l’ammissibilità alle sole questioni che non trovano soluzione in documenti interpretativi già emanati”.

Se, infatti, una tale conclusione, in linea di principio, è già ricavabile dall’attuale prassi dell’Agenzia in materia di interpelli, è necessario, però, che, da un lato, venga incrementato proprio il numero di provvedimenti interpretativi generali e, dall’altro lato, ça va sans dire, che si adatti un tale principio alla mutevolezza e all’instabilità delle norme fiscali: un’applicazione rigida di tale causa di inammissibilità andrebbe a limitare, in maniera probabilmente irrimediabile, il ricorso all’interpello quale analisi preventiva di “un caso concreto e personale”.

Da accogliere sicuramente con favore è, poi, l’intenzione di sostituire l’interpello, in talune ipotesi, con un Q&A, sicuramente più rapido e da realizzarsi attraverso l’utilizzo di tecnologie digitali: anche il rapporto fisco-contribuenti va velocizzato e modernizzato.

Dall’accesso agli atti al contraddittorio generalizzato

Ancora, previsioni degne di nota, che mirano a rafforzare e meglio delineare i principi dell’attuale Statuto, sono la previsione di un generale diritto di accesso agli atti del procedimento tributario, l’applicazione generalizzata del contraddittorio, a pena di nullità, nonché una disciplina generale delle invalidità degli atti impositivi e della riscossione, ad oggi oggetto di discipline normative non uniformi e di contrasti giurisprudenziali, così da introdurre anche in ambito tributario una disciplina generale, già prevista nel diritto amministrativo dagli articoli 21-septies e 21-octies della legge n. 241 del 1990.

Insomma, la delega governativa ha correttamente, almeno in linea di principio, attribuito centralità al rapporto fisco-contribuente, riconoscendo, finalmente, il valore fondante dei principi dello Statuto.

Si tratta del primo, necessario, passo verso un nuovo diritto tributario sostanziale. Se il rapporto fisco-contribuente deve essere improntato a forme di collaborazione è altrettanto vero che ha bisogno di norme certe, interpretazioni uniformi, sanzioni – anche per l’Amministrazione finanziaria – ben definite e regole uguali per tutti.

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